Hanno una grande responsabilità le uscite discografiche che cadono nel periodo estivo: rinfrescare l’ascoltatore. Un po’ come vento fresco, un po’ come brezza marina, un po’ come profumo delicato. Eh si, perché anche le stagioni giocano un ruolo attivo nella produzione di musica o quanto meno nell’approccio a questa. Richard Butler ci riesce. Ce la fa a non essere invadente nel caldo torrido. Costruisce un disco morbido, ben lavorato, soffice e che rappresenta proprio l’altra faccia dell’estate: quella più melanconica, pensierosa. Niente titoli, solo un omonimo Richard Butler a rappresentare un piccolo e personalissimo sfogo dolceamaro dallo stesso potenziale musicale di quello degli storici Psychedelic Furs – di cui Butler era il leader – ma dal diverso approccio. Se la band londinese offriva al mercato discografico il volto ossessivo e barbiturico di psichedelica + dark, in questo gioiello del nuovo millennio Butler offre il profilo più zuppo di evocazioni e nostalgia. L’elettronica, così, si mette al servizio di un quadro senile dai grandi spunti: Good Days, Bad Days – che ripercorre un’intera vita e che è un piccolo ricordo del padre scomparso – è una ballata delicata, assonnata ed affidata a qualche zuccherata tastiera atmosferica. Anche le seguenti Breathe e Satellites sono parabole incantate. Il centro nevralgico dei due brani è occupato da una chitarra acustica alla quale girano attorno ingressi strumentali memorabili. Tristezze, ma piuttosto languori. Tuffi all’indietro. Salti in un passato che ancora gratta la porta da dietro. Come in Sentimental Airlines, anch’essa lunga ballata davvero senza confini. Una storia raccontata di getto. Con il groppo in gola del viaggio, con la drammaticità dell’addio, con la impazienza dell’arrivo. I violini, le chitarre morbide e la voce soffice di Butler fanno fagotto, quasi senza stacchi, anche in Maybe Someday, e cioè verso una dimensione a se. Una partenza si, ma verso luoghi che sono difficili da spiegare. I luoghi della memoria. Quelli di cui Richard Butler ci racconta candidamente, facendoci dimenticare che fuori un’estate gracchia caldo ed insoddisfazione, ma che c’è sempre il tempo per il ricordo.
(2006, Koch)
01 God days, bad days
02 California
03 Breathe
04 Satellites
05 Broken aeroplanes
06 Milk
07 Nothing’s wrong
08 Second to second
09 Last monkey
10 Sentimental Airlines
11 Maybe someday
A cura di Riccardo Marra