Non inganni la copertina: il Rover qui in giubbotto di pelle, occhiali da motociclista e acconciatura da bello e dannato è esattamente lo stesso che nell’omonimo debutto del 2012 si presentava come un novello Ludwig van Beethoven, forse solo un po’ più consapevole del proprio potenziale. Nessuna sensibile variazione sul tema, cambia davvero poco nella proposta del songwriter francese, fatta della stessa pasta dell’esordio e per questo ulteriore botta emotiva per chi subisce ancora il fascino di certo romanticismo decadente.
La ricetta di cui si avvale lo chanteur ha ancora le medesime travi portanti, ovvero il cantato spesso in falsetto e quel pianoforte che, fra i tanti strumenti suonati da Rover, rimane pur sempre il compagno più fidato e che invoca certo spirito lennoniano nella title track o in Glowing Shades. Timothée non vuole saperne di rassegnarsi a una semplice chitarra acustica come in Some Needs, così ecco i consueti fiati a sottolineare i passaggi lirici più drammatici (Odessey) e lo sguardo compiaciuto del Duca Bianco a tranquillizzarne l’animo (Call My Name), anche quando la sezione ritmica si fa più nervosa (Along) o il piglio post punk prende il sopravvento (In The End).
Di certo “Let It Glow” non rappresenta un reale passo in avanti dal punto di vista compositivo e ciò, considerati anche gli oltre tre anni d’attesa, potrebbe essere un punto a sfavore nella valutazione complessiva di questo sophomore. Ma ad avercene più spesso di lavori del genere si vivrebbe tutti meglio: per adesso, quindi, c’è nuovamente da ritenersi soddisfatti.
(2015, Cinq 7 / Wagram Music)
01 Some Needs
02 Odessey
03 Call My Name
04 Innerhum
05 Trugar
06 HCYD
07 Let It Glow
08 Along
09 Glowing Shades
10 In The End
IN BREVE: 3,5/5