C’è una formula che si sta pian piano consolidando nel panorama elettronico mondiale. Prendi una voce femminile, eterea come quella degli angeli nei film, filtrata e stratificata che neanche il tiramisù della nonna. Prendi un tipo che smanetta abilmente con i computer da quando ha quindici anni, cavandosela egregiamente nel mettere in sequenza fra loro beat ed effettistica. Mettili insieme e digli: “Voi, da adesso, siete una band”. Inevitabilmente ciò che ne verrà fuori sarà qualcosa di molto simile ai newyorkesi School Of Seven Bells, una di quelle formazioni che sembrano ormai andare per la maggiore. Non che il risultato, in tanti casi, dispiaccia, sia chiaro. Ma, ad essere onesti, se le prime volte ci si lascia folgorare con benevolenza, man mano l’effetto sorpresa svanisce e i nuovi adepti fanno tutti lo stesso effetto che fecero gli Arctic Monkeys a chi aveva già ascoltato Strokes e compagnia indiedanzante bella: sempre fagioli, a colazione, pranzo e cena. Questi fagioli, però, Benjamin Curtis (anche alla produzione) e Alejandra Deheza (la gemella Claudia ha mollato la band), sanno cucinarli a dovere. In questo loro Ghostory, terzo lavoro sulla lunga distanza in appena cinque anni, ci sono com’era prevedibile tutti i connotati della formula di cui sopra. C’è tanta Bat For Lashes – e quindi per la proprietà transitiva dovrebbe esserci anche un bel po’ di Bjork – nella loro proposta, soprattutto per quanto riguarda l’approccio vocale della Deheza, a tratti praticamente indistinguibile da Natasha Khan (su tutte in Love Play). E poi il substrato sonoro dei brani, che gli School Of Seven Bells provano a diversificare da quello marcatamente dream pop tipico del genere, accelerando spesso ritmi che per consuetudine dovrebbero essere parecchio slow. Vedi la conclusiva When You Sing, in cui compare qualche flebile spunto shoegaze. E proprio grazie a questi cambi di ritmo “Ghostory” non annoia né appare “eccessivo”, nonostante la lunghezza delle nove tracce viaggi su una media di oltre quattro minuti cadauna. Sarà pure sempre la stessa solfa, ma, almeno stavolta, è una buona solfa.
(2012, Vagrant)
01 The Night
02 Love Play
03 Lafaye
04 Low Times
05 Reappear
06 Show Me Love
07 Scavenger
08 White Wind
09 When You Sing
A cura di Emanuele Brunetto