Qui al Cibicida siamo cresciuti tutti a pane e grunge, quindi è sempre con un pizzico di adolescenziale emozione che ascoltiamo certi dischi, soprattutto se ci ritroviamo tra le mani qualcosa di inedito dal fronte Screaming Trees. Ma, attenzione, questa non è roba fresca. Tra l’inverno e l’estate 1998-99 la band registrò diverso materiale coi produttori Matt Bayles, Martin Feveyear e Toby Wright. Di lì a qualche mese, però, giunse lo scioglimento e, di conseguenza, la pubblicazione del nuovo album già pronto cadde nell’oblio. Dopo dodici anni, per volontà del batterista Barrett Martin che la pubblica sulla sua personale etichetta Sunyata, quella collezione di canzoni vede la luce e si approccia alle orecchie degli orfanelli mai cresciuti del Seattle-sound come noi quasi in sordina, senza massicce campagne pubblicitarie. In punta di piedi, come del resto è sempre stata la carriera degli Screaming Trees, ovvero la parte esteticamente brutta del grunge, coi fratelli Conner sovrappeso col gozzo che bypassava il collo per collegarsi direttamente al busto. Nessuno di loro aveva lo sguardo da bello e frustrato di Cobain o il torace nerboruto del Cornell dei tempi d’oro, e forse per questo il valore della loro musica è più pregiato e profondo, nonostante non avesse alcunché di rivoluzionario e non abbia avuto alcuna influenza sulla musica a venire. Last Words: The Final Recordings non sentenzia chissà quale rivoluzione. Dieci canzoni robuste e veraci che seguono la scia di “Dust”, un rock squadrato dai giri semplici e prevedibili, un rock-blues screziato di acide tonalità psichedeliche e percorso da un vigore southern. A far la differenza, come sempre, la voce di Lanegan, calda e ombrosa e che regala guizzi melodici ottimi, seppur senza strabiliare. La tracklist fluisce senza nessun cedimento: parte dal consueto mid-tempo a metronomo lievemente rialzato di Ash Gray Sunday per toccare poi l’antemica Revelator, e passando per l’umore dimesso di Black Rose Way giunge all’abrasivo finale di Last Words, quasi una premonizione del capolinea ormai dietro l’angolo. Sono della partita anche due ospiti di lusso, Peter Buck dei R.E.M. a chitarra acustica e dodici corde e Josh Homme dei Queens Of The Stone Age alla chitarra elettrica. Niente di nuovo sotto il sole, niente di più che un fossile dall’inestimabile valore disseppellito solo per i fan incalliti, “Last Words” viaggia lungo le flebili strade della memoria e ci ricorda da dove siamo venuti, quali suoni ci hanno svezzati. Un sentito ringraziamento.
(2011, Sunyata)
01 Ash Gray Sunday
02 Door Into Summer
03 Revelator
04 Crawlspace
05 Black Rose Way
06 Reflections
07 Tomorrow Changes
08 Low Life
09 Anita Grey
10 Last Words
A cura di Marco Giarratana