Sharon Jones aveva una storia incredibile. Una storia che si può definire “favola”, senza esitazione. Cantante gospel nei cori di quartiere, turnista all’occorrenza in varie funk band che trovavano qualche ingaggio a matrimoni e cerimonie, Sharon ebbe il suo primo assaggio di successo come corista per il musicista funk Lee Fields, mentre il suo lavoro quotidiano consisteva nel fare la guardia carceraria a Rikers Island, nel Bronx.
Il primo disco (che poi fu anche il primo disco della Daptone Records, fondata nel 2001 da Bosco Mann e Neal Sugarman) arrivò alla tenera età di 46 anni, e da subito Sharon e i suoi Dap-Kings (una straordinaria ensemble di musicisti che lavorerà anche con Amy Winehouse per il capolavoro “Back To Black”) si affermarono come gli assoluti sovrani nell’ambito del soul revival.
Questo Soul Of A Woman è il primo album postumo per la Jones, morta di cancro al pancreas l’anno scorso, e fortunatamente non è uno di quegli album nel quale il cantante morente ci narra di quanto sia bella la vita, di come stia adesso finalmente apprezzando il profumo delle rose e il canto degli uccellini.
Sharon era straordinariamente viva, fino alla fine, e chi è vivo non ha bisogno di ricordare agli altri retoriche rotture di coglioni, né di descrivere dolore, malattia, pena. Sharon, molto semplicemente, ha continuato a cantare fino alla fine, con la sua voce straordinaria e la sua band straordinaria.
La tentazione di evitare di fare una qualsivoglia critica a una persona magnifica come Sharon Jones, con la sua favola moderna e il suo finale triste è molto forte, ma sarebbe ipocrita: “Soul Of A Woman”, come è spesso accaduto con i Dap-Kings, è un album estremamente piacevole, assolutamente ben suonato e arrangiato, ma al quale manca un gradino e mezzo per essere materia da leggenda. L’anima di questa donna esce fuori a più riprese, ma si percepisce una forma non brillante e una fatica raramente mostrata prima.
L’iniziale peana per la pace, Matter Of Time, fa presagire meraviglie, ma le agognate meraviglie non arrivano e i 35 comunque piacevoli minuti scorrono in maniera prevedibile. Sharon Jones non eccede mai con virtuosismi inutili e ciò fa sì che le interpretazioni rimangano godibili, ma il materiale, come spesso è accaduto nella loro quindicennale carriera, non è all’altezza degli interpreti e catalizza aggettivi come “gradevole”, “piacevole”, “godibile” invece che far saltare dalla sedia; essendo il repertorio un repertorio revival, lo sforzo richiesto per la memorabilitá è chiaramente più alto: ci sono 50 anni di musica soul e funk densi di capolavori che inevitabilmente vengono rievocati e, nel paragone, è chiaro che non può vincere il repertorio dei Dap-Kings.
L’album è un ascolto che scalderà il cuore degli appassionati, è valido, ben suonato e anche abbastanza ben scritto, ma forse l’unico vero motivo per un ritorno all’ascolto potrebbe essere il gospel conclusivo Call On God, unica canzone del disco scritta da Sharon Jones, che chiude l’album nella eccellente maniera in cui era iniziato.
(2017, Daptone)
01 Matter Of Time
02 Sail On!
03 Just Give Me Your Time
04 Come And Be A Winner
05 Rumors
06 Pass Me By
07 Searching For A New Day
08 These Tears (No Longer For You)
09 When I Saw Your Face
10 Girl! (You Got To Forgive Him)
11 Call On God
IN BREVE: 3,5/5