C’è un momento preciso, dura un battito d’occhi. È il momento in cui le luci vanno giù e un’esplosione che dura millesimi di secondo segna il passaggio dalla vita alla morte. Steve Albini a fine giornata davanti all’interruttore degli Electrical Audio. Una leva che, abbassata, vibra di elettricità e ti costringe al rinculo. Ogni giorno così, da ventisette anni, in barba a ogni agente atmosferico a Chicago, in barba al covid. Steve come un operaio del suono ad accendere e spegnere la macchina tutti i santi i giorni. Spinotti, prese, banco, ciabatte, microfoni, un’astronave della musica da svegliare e riaddormentare senza festivi. E se c’è un luogo dove si sapeva che Albini si sarebbe spento è proprio quello: sui suoi tappeti, sul groviglio di cavi. Come un astronauta che muore in orbita, come un pugile che s’accascia sul ring. Steve è morto lì, in fretta, stroncato da un infarto: la cosa più vicina a una scarica elettrica, la cosa più simile a una leva che va giù.
Nel 2022, quando lo intervistai su queste pagine, gli chiesi del futuro. Erano passati otto anni da “Dude Incredible” (2014) e un nuovo disco degli Shellac mancava come l’aria. Steve rispose con la sua proverbiale ironia: “Il nuovo disco è sostanzialmente finito, rimangono solo alcuni piccoli dettagli, spero che venga pubblicato prima che io diventi troppo vecchio”. To All Trains esce che Steve è morto da dieci giorni in una specie di scherzo del destino. Nessun disco dovrebbe sopravvivere al suo autore, il concetto di disco postumo dovrebbe essere spazzato dalla faccia della terra. Ma purtroppo è così e di certo non è la prima volta che accade.
La “direzione per tutti i treni” è una segnaletica da stazione, ma anche un concept forse involontario. Tutte le direzioni. Ogni possibilità, questo significa. “Iniziamo con un’idea e poi vediamo che succede. La maggior parte di quel che facciamo, lo facciamo per vedere come andrà a finire” – sottolineava iconico Steve prima di andarsene. Questo disco ricalca l’intenzione. Canzoni aggressive, vibranti, che ora scorrono dritte s’una rotaia, ora si rigirano su se stesse come in sella a un toro meccanico. Il suono è quello Shellac: senza compromessi. Come quando nell’iniziale WSOD un riff che dondola come una molla ci ricorda quanto il rumore ti faccia bella. Come in Tattoos con certi giri di chitarre che non sembrano sentire fatica. Lo abbiamo detto: le canzoni di questo disco potrebbero arrivare da ogni parte e dirigersi verso ogni parte, sopra ogni montagna, nel profondo di ogni tunnel. Chick New Wave ne è una prova e anche Scrappers. Un treno a tutta velocità senza conducente. L’onomatopea dello scricchiolio, del legno che si crepa, dell’acido che scende in gola come quando da bambini succhiavamo le pile scariche, uno stop & go continuo con le urla di Steve a fare a gara con le chitarre a chi picchia più duro.
Sarà difficile vivere senza musica nuova degli Shellac, sarà difficile non vedere più s’un palco Steve Albini, con i suoi pantaloncini strappati, a spruzzare sudore verso il pubblico. Sarà difficile abituarsi a questo mondo di musica prosciugata. E in tal senso “To All Trains” è più di un disco, è un passaggio a livello sul tempo, una cesura. Come lo è la morte di Albini d’altra parte, l’ultimo grande agitatore del suono distorto. C’è un passaggio nella canzone finale del disco che è un testamento. Il pezzo si chiama I Dont’ Fear Hell e, cavalcandolo, Albini compie l’ultimo grande balzo della sua vita. “Quando tutto questo sarà finito salterò nella tomba come nelle braccia di un’amante – pioggia di elettrodi – non temo l’inferno, lo spettacolo sarebbe incredibile” – la ruota del treno solca il binario in curva, schizza una scintilla, cigola il ferro, un clangore strilla che sembra una chitarra. È il tuo show Steve, il tuo viaggio rumoroso.
2024 | Touch and Go
IN BREVE: 3,5/5