C’è una critica ricorrente rivolta agli Sleaford Mods, una chiacchiera da bar che nessuno ha il coraggio di mettere nero su bianco, che recita più o meno così: “Bravi eh, ma quanto potranno andare avanti proponendo ogni volta la stessa roba?”. C’è un fondo di verità in ciò, nel senso che la formula adottata da Jason Williamson e Andrew Fearn non si è mai discostata troppo da se stessa, i due ci girano sempre intorno, la slabbrano di qua, la deformano di là, la mettono in mano a un amico, poi la riprendono e te la tirano contro, acida e corrosiva. Eppure funziona da ormai un bel po’ di anni, mica da pochi giorni. Possiamo anche dire che non solo funziona, ma addirittura vede crescere la sua forza espressiva col passare del tempo, visto che con “Spare Ribs” la premiata ditta Williamson/Fearn aveva raggiunto nel 2021 l’apice della propria discografia, il loro disco più trasversalmente apprezzato. E perché ciò è accaduto? Semplicemente perché riescono come pochi − forse come nessun altro − a rappresentare il disagio, la disillusione e la rabbia dell’intero Regno Unito e oltre.
E qui arriviamo a un altro dei cavalli di battaglia di chi chiacchiera nel bar di cui sopra: definire la musica, quella degli Sleaford Mods nel caso specifico. Tutti d’accordo che hanno sempre avuto un’estetica e un’attitudine punk… ma cos’è il punk? Certo non creste colorate, catene, borchie, anfibi e jeans strappati, non più quantomeno. Il punk era ed è reazione, è presa di coscienza e denuncia di ciò che non va bene, di soprusi, prepotenze e mala gestione da parte della classe politica. Punk è fare politica senza fare politica in senso stretto, è prendere posizione al fianco di chi non ce la fa ad andare avanti, è ribellione allo status quo. Se siamo d’accordo anche su questo, allora va da sé come in circolazione non ci sia nessuno più punk degli Sleaford Mods, al netto dei campionamenti, delle basi ossessive e del rappato/spoken sciorinato con indolenza da Williamson, che certamente sono strumenti parecchio distanti dai convenzionali chitarra, basso e batteria suonati alla bell’e meglio.
Tutto questo preambolo per dire che UK GRIM, il loro dodicesimo lavoro in studio, aggiunge un altro importante tassello a un percorso più unico che raro, un percorso che si mantiene costantemente rilevante perché costantemente ancorato a ciò che gli Sleaford Mods vedono tutt’intorno, giù in strada, nelle periferie degradate che ben conoscono, nelle catene di montaggio delle fabbriche, sui giornali, fra le righe delle storie di chi si interfaccia quotidianamente con loro portando la propria testimonianza. Gli enormi danni causati dalla Brexit, gli strascichi dolorosi di una devastante pandemia e della sua fallimentare gestione, gli scandali in cui sono incorsi alcuni politicanti britannici, le derive nazionaliste, sono le tematiche principali affrontate in “UK GRIM”, a partire dalla title track che apre il disco, accompagnata dal significativo videoclip realizzato da Cold War Steve, un irriverente e cinico collage del meglio del peggio.
Tracce come Right Wing Beast e Tory Kong non lasciano alcuna possibilità di interpretazione già a partire dal loro ben poco enigmatico titolo, ma è tutto l’album a scagliarsi con dissacrante ferocia nei confronti delle alte sfere della politica britannica, primi colpevoli di uno sfacelo sociale dannatamente profondo e complicato da rimettere in sesto. Tra episodi in cui il substrato hip hop del duo viene fuori in maniera più marcata (Smash Each Other Up), altri in cui è il nervosismo post punk a condurre il gioco (Tilldipper e Pit 2 Pit) e altri ancora in cui gli Sleaford Mods si fanno possedere da una sbilenca vena danzereccia (On The Ground), spicca l’ansiogeno incedere del singolo Force 10 From Navarone, in cui a dare manforte a Williamson compare Florence Shaw dei Dry Cleaning, un’altra che gioca piuttosto bene con le parole. A proposito di collaborazioni, in So Trendy il duo inglese si permette anche il lusso di chiamare in causa Perry Farrell e Dave Navarro dei Jane’s Addiction, per un attacco al fulmicotone all’iperconnessione che ci affligge. E poi c’è anche un momento che Williamson si ritaglia per sé, quando in I Claudius ricorda un Natale in famiglia da bambino.
Mentre le tendenze fanno avanti e indietro fra i nostri ascolti veloci e distratti, mentre il mondo collassa sulle nostre teste mietendo vittime a grappoli (metaforicamente e non), Jason Williamson e Andrew Fearn stanno sempre lì a ricordarci cosa è veramente importante, cosa sarebbe importante se solo dall’altra parte della barricata ci fossero visioni illuminate e una coscienza politica e sociale degna di questo nome. Ed è per questo che “UK GRIM” è − così come lo sono stati tutti gli altri lavori degli Sleaford Mods − il modo giusto per provare a mantenere la barra dritta, per non perdere di vista l’obiettivo e rimanere focalizzati su di esso, con buona pace di chi gradirebbe chissà quale evoluzione stilistica. Un’evoluzione che, alla luce di quanto abbiamo detto, va considerata assolutamente come non necessaria, al contrario degli Sleaford Mods, loro sì davvero fondamentali.
— 2023 | Rough Trade —
IN BREVE: 4,5/5