Qualcuno, da qualche parte, una volta ha scritto che le Sleater-Kinney sono state una delle band più genuine e carnali della loro generazione. Nel corso della loro carriera, specie nella proiezione tra la prima (quella conclusasi nel 2005 con “The Woods”) e la seconda fase (quella del ritorno nel 2015 con “No Cities To Love”), non hanno fatto altro che confermarlo, facendola finita quando hanno sentito fosse giusto farlo, rimettendosi insieme quando hanno avuto nuovamente qualcosa da dire, lasciando trascorrere gli anni ma tenendo ben visibile il loro nome sul citofono di casa, così che quella dimora restasse rintracciabile e frequentabile da chiunque avesse sentito ancora la necessità di cercarle. Per favorire il rientro degli “ospiti”, peraltro, Corin Tucker, Carrie Brownstein e Janet Weiss hanno pensato bene di rimettersi in gioco seguendo le coordinate della prima fase del loro percorso, visto che “No Cities To Love” ha riportato essenzialmente da quelle parti come se non fossero trascorsi dieci anni ma appena una manciata di mesi.
Proprio a conferma della genuinità del marchio Sleater-Kinney, del loro far musica non per autocompiacersi o per piacere a tutti costi bensì per necessità espressiva, questo 2019 le tre lo hanno iniziato col botto già a Gennaio annunciando di avere un nuovo album in dirittura d’arrivo, prodotto niente poco di meno che da St. Vincent. Chiunque è entrato in contatto con Annie Clark sa perfettamente che si tratta di un’artista trasversale, con uno stile unico e riconoscibilissimo, dotata – tra i pochi a esserlo, oggigiorno – di uno spiccato gusto per il contemporaneo adagiato su un background classico di tutto rispetto (parliamo sempre di “rock”, ovviamente). Impossibile, dunque, che il suo apporto potesse non farsi sentire fortissimo. Aggiungiamo: impossibile che le Sleater-Kinney non volessero ciò e/o s’aspettassero altro.
Quando a Maggio è arrivata Hurry On Home, così, la conferma ci si è parata davanti alle orecchie in tutta la sua prepotenza sintetica, inconfondibile tocco della Clark che ha fatto del miscuglio tra suoni industriali, punk e propulsioni art pop la propria cifra stilistica. Una svolta non di poco conto per le Sleater-Kinney, uno sguardo al presente sotto la supervisione della migliore tra i contemporanei. Forse troppo? Forse, visto che una manciata di settimane prima dell’uscita del disco, in piena fase di lancio e promozione, Janet Weiss ha deciso di mollare. Divergenze artistiche sulla strada intrapresa, pare. Un tempismo d’altri tempi, quelli in cui ci s’interessava poco di certe dinamiche commerciali e si agiva di pancia, a ulteriore testimonianza di come ogni passo delle tre sia sempre stato dettato dal cuore più che dal cervello.
Ad ascoltare The Center Won’t Hold, il primo aspetto che inevitabilmente si nota è il lavoro fatto sulle ritmiche, già a partire dalla title track che apre il disco: digitalizzate, robotizzate, de-umanizzate in perfetto stile St. Vincent… ma non troppo in quello di Janet Weiss. Dire che la chiave del suo addio stia tutta qui vorrebbe dire sminuire la caratura delle musicista in questione, ma senza dubbio la cosa avrà avuto il suo peso. Come se The Center Won’t Hold non bastasse, ci pensa Reach Out a innervare queste nuove Sleater-Kinney di filamenti sintetici, con riferimenti neanche troppo velati ai Depeche Mode (a prescindere dall’innegabile impulso a completare il ritornello neanche fosse la loro “Personal Jesus”) che la dicono lunga sulla natura dell’album.
Ma non è solo una questione di pulsazioni synthpop che fa di “The Center Won’t Hold” un lavoro nettamente diverso da quanto mai fatto prima dalle Sleater-Kinney: le chitarre, sono loro a subire il rimaneggiamento più intensivo. L’aggressività di Carrie e Corin non ne risulta intaccata, ma i loro strumenti graffiano molto, molto di meno, ricoperti come sono di strati di effettistica digitale, in perfetta sinergia con la natura di brani come RUINS e LOVE, perno centrale del disco: se la prima pare uscita direttamente dal “MASSEDUCTION” di St. Vincent, la seconda finisce per essere quanto di più pop mai partorito dal trio. In questo turbinio di progressioni sintetiche, il sound delle Sleater-Kinney finisce per inscurirsi tantissimo, avvolgendo l’intero “The Center Won’t Hold” di una patina dark che nella ballata Restless ha il suo apice melodico, mentre nella conclusiva Broken porta definitivamente l’album alla densità della pece col suo piano stordente.
Difficile farsi un’idea di come le Sleater-Kinney potranno riassestarsi anche e soprattutto dal vivo, visto il nuovo abito della loro musica e vista soprattutto l’assenza di una colonna come Janet Weiss, ma è fuor di dubbio che “The Center Won’t Hold” potrebbe rivelarsi un passaggio fondamentale della loro ormai venticinquennale carriera, il disco da cui partire per comprendere se, in che modo e per quanto ancora il concetto Sleater-Kinney potrà considerarsi vivo e attuale.
(2019, Mom + Pop / Caroline)
01 The Center Won’t Hold
02 Hurry On Home
03 Reach Out
04 Can I Go On
05 Restless
06 RUINS
07 LOVE
08 Bad Dance
09 The Future Is Here
10 The Dog / The Body
11 Broken
IN BREVE: 3,5/5