A tre anni dall’ottimo “We Are Not Your Kind” (2019) gli Slipknot tornano con The End, So Far, un album dal titolo evocativo che ha spaventato molti fan che si sono domandati, forse a ragione, se fosse questa la fine della band. Questo prima che Corey Taylor intervenisse a tranquillizzare gli animi, affermando che se gli avessero dato un nichelino per ogni volta che ha dovuto smentire questo tipo di affermazioni, ora ne avrebbe una tonnellata. Il titolo potrebbe invece far riferimento ad un nuovo inizio: si tratta, infatti, della seconda prova in studio di fila senza tre membri della formazione con la quale si fecero conoscere al mondo nel 1999 e ormai la band è rodata e lavora bene insieme. In ogni caso, il settimo lavoro discografico del “nodo scorsoio” è carico di significato, a prescindere dal titolo: si tratta dell’ultima uscita con la Roadrunner Records, storica casa discografica con la quale la band è sotto contratto dal 1998; è il primo album dopo la morte di Joey Jordison, batterista storico della band e uno dei più influenti nella storia del metal, scomparso nel 2021; infine, è il primo lavoro con il produttore Joe Barresi (Avenged Sevenfold, Black Stone Cherry, Puscifer).
L’album si apre con Adderall: una melodia di synth che può ricordare “Joga” di Björk anticipa un beat ultra-cadenzato che fa l’occhiolino ai Massive Attack di “Teardrop” sul quale Corey recita una litania sulla medicina che dà il titolo alla traccia; una splendida ballata che stabilisce il tono dell’intera opera. Le tre tracce che seguono sono anche i singoli che hanno anticipato l’uscita dell’album: si parte con The Dying Song (Time To Sing), un brano sull’ansia sociale generata da questi anni di pandemia, il tutto condensato in strofe veloci e urlate che ricordano da vicino “(Sic)”, e in un ritornello dalla melodia irresistibile; segue The Chapeltown Rag, che per violenza si avvicina alle vette di Iowa; qui Jay Wenberg conferma di essere il predestinato erede di Jordison dietro le pelli, mentre Corey inveisce contro quei giornalisti che non riescono a separare i propri sentimenti dalle notizie che scrivono, ripetendo allo sfinimento “Everything is God online” come fosse un mantra; ultimo singolo estratto è Yen, una dichiarazione d’amore dalla melodia inquietante che sarebbe perfetta per un film horror.
La prima metà dell’album si chiude con Hivemind e Warranty, due schegge che anticipano forse la miglior traccia dell’intera release, Medicine For The Dead, un macigno di oltre sei minuti di durata dove la band è ai massimi livelli: il riffing di Thompson e Roots è ispiratissimo, così come le liriche di Corey Taylor che impersona un terapeuta che cerca la miglior medicina per un paziente più morto che vivo. Ad un’ottima prima metà ne corrisponde una seconda che vede anche qualche traccia sottotono (Acidic, Heilroom) e che si chiude con De Sade e Finale: la prima prende il nome dal rivoluzionario marchese francese e vede l’ennesima performance vocale incredibile di Corey Taylor e un ottimo lavoro chitarristico; la seconda è una ballata dalle melodie malinconiche, condita da splendidi cori femminili, che chiude l’album alla perfezione.
Gli Slipknot hanno superato la morte, hanno superato dissidi interni e infine anche una pandemia che ha fatto slittare l’uscita dell’album, originariamente pianificata per la primavera/estate. “The End, So Far” è un modo per esorcizzare tutto questo, è un album come non si sentiva da “Vol. 3” (2004) e che per certi versi lo ricorda anche: pesante, ispirato, malinconico. Dodici tracce che dimostrano come la band non sia invecchiata per niente, ma sembra più in forma che mai.
(2022, Roadrunner)
01 Adderall
02 The Dying Song (Time To Sing)
03 The Chapeltown Rag
04 Yen
05 Hivemind
06 Warranty
07 Medicine For The Dead
08 Acidic
09 Heirloom
10 H377
11 De Sade
12 Finale
IN BREVE: 4/5