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Soulsavers – The Light The Dead See

E’ da stronzi, è da maliziosi, lo ammettiamo. Ma la grande fortuna di Rich Machin e Ian Glover è quella di aver convinto Mark Lanegan a dar loro man forte in “It’s Not How Far You Fall, It’s The Way You Land” con le sue preziose corde vocali al cuoio secco. Doppia operazione di marketing: hype a manetta e corposa razzolata di gran parte del devoto pubblico del singer di Ellensburg, avvicinato così al duo inglese. Bene, bravi, bis, l’operazione si ripete due anni più tardi con “Broken”, che non bissa la foggia pregevole del predecessore, ma consolida la fama dei Soulsavers presso un certo pubblico che, ai tempi dell’esordio “Tough Guys Don’t Dance” non se li era filati neanche di striscio. Davvero furbi, ma non per questo condannabili, Machin e Glover parevano ormai inseparabili compagni di merende del caro Lanegan, che continuava a tardare col suo ritorno da solista. Invece, giunge l’inatteso cambio dietro al microfono e, di conseguenza, mutano anche i tratti stilistici. Quando avrà alzato la cornetta e dall’altra parte i due dj inglesi gli offrivano le parti vocali del nuovo album, chissà cosa avrà pensato Dave Gahan. Avrà chiesto di non scrivere una copia carbone dei Depeche Mode? Avrà esatto proprio queste ballatine senza picchi emotivi degni di nota? O, invece, i due laggiù gli avranno detto: “Senti, tu il tuo l’hai già fatto, se fai stramazzare la gente al suolo per la noia senza neanche scomodare i ‘Mode, farà mai qualcosa?”. Non si capisce bene, insomma, che ci faccia Gahan alle prese con queste canzoni fiacche e piatte, che fanno un verso sbiadito a “Broken” e che hanno del tutto abbandonato quel piglio oscuro e miscelatore, anche un po’ narcisista ma decisamente efficace, del primo dischetto col buon Lanegan. No, non ci va di fare paragoni insulsi tra due voci che hanno conosciuto successi diversi ma che, fino ad oggi, non hanno sbagliato un colpo e che hanno saputo far vibrare le profonde corde emotive degli ascoltatori più esigenti. Il problema è che The Light The Dead See raccoglie brani che non funzionano e che, eccezion fatta per episodi come Longest Day e Take Me Back Home, ovvero quelli dove emerge un vago spirito gospel, ci lascia spettatori sulla riva di un fiumiciattolo che scorre pigro e senza la minima increspatura. Che poi non è neanche brutto sto disco, ma è sostanzialmente noioso, se non addirittura inutile. E a sto punto non si sa cosa sia peggio.

(2012, Mute)

01 La Ribera
02 In The Morning
03 Longest Day
04 Presence Of God
05 Just Try
06 Gone Too Far
07 Point Sur Pt. 1
08 Take Me Back Home
09 Bitterman
10 I Can’t Stay
11 Take
12 Tonight

A cura di Marco Giarratana

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