Attivi da qualche anno, con un po’ d’incisioni di varia natura alle spalle e, soprattutto, un’esperienza live di tutto rispetto con tantissime date all’estero (e aperture extra-lusso per formazioni del calibro di PiL e A Place To Bury Strangers), i Soviet Soviet giungono così a quest’esordio sulla lunga distanza forti di una maturità stilistica raggiunta e di un moniker già noto nel circuito di riferimento.
Fate, pubblicato per l’americana Felte, mette in conto le difficoltà di cui sopra e le affronta senza batter ciglio. Lo fa con una dose massiccia d’istintività che si riscontra in ogni singolo pezzo e con un sound così primordiale che, canalizzato com’è nel solco giusto, traccia un’unica e continua linea dal primo all’ultimo secondo del disco. Un climax ascendente (il finale con Something You Can’t Forget e Around Here raggiunge il picco della deflagrazione) che spezza la schiena e fa mancare il fiato.
Immediato come dev’essere un disco del genere, claustrofobico come solo chi ha studiato bene la lezione eighties sa fare, le uniche aperture (vedi i pochi secondi di quiete all’interno di Ecstasy e 1990) sono una boccata appena d’ossigeno fra il martellare convulso della batteria e quel basso metallico che se non è un marchio di fabbrica poco ci manca (Further e Hidden).
Fra gli ovvi Joy Division e i Cure più grezzi (il binomio centrale composto da Gone Fast e No Lesson), fra i Jesus And Mary Chain (Introspective Trip) e il fragore noise dei Sonic Youth (le chitarre di Together), non c’è un solo nome fra quelli che tornano alla mente ascoltando i Soviet Soviet che non sia un gran nome. “Fate”, dunque, anche per questo motivo non poteva che essere un gran album e infatti lo è, senza mezza termini, confermando la bontà del progetto dei tre pesaresi e giustificando l’attenzione – mai casuale, quando c’è – ricevuta oltreoceano.
(2013, Felte)
01 Ecstasy
02 1990
03 Introspective Trip
04 Further
05 Gone Fast
06 No Lesson
07 Together
08 Hidden
09 Something You Can’t Forget
10 Around Here