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Sembrano passati un secolo e decine di loro dischi da quando gli Squid avevano esordito con “Bright Green Field”. Eppure era solo il 2021. Ma la sensazione di un tempo dilatato a dismisura, allungato e deformato fino a rendere irriconoscibile tutto ciò che galleggia al suo interno, la musica degli Squid la dà eccome, fin da quell’esordio. Già con “O Monolith” (2023) il quintetto di Brighton aveva fatto a pezzi l’abusata e spesso imposta classificazione sotto la casella post punk, orientandosi su vene prog e kraut che mettevano ampiamente in risalto la perizia tecnica dei cinque come musicisti. Adesso, che giungono con questo Cowards al loro terzo sigillo discografico, il viaggio degli Squid si fa ancor più impalpabilmente rapido e inafferrabile. Restii a rimanere chiusi in questa o quell’altra scatola, ancor più restii a ripetersi, gli Squid targati 2025 rallentano i ritmi e virano altrove con la prua del loro offshore sonoro.
Così i toni radioheadiani dell’iniziale Crispy Skin sono solo il primo gancio di una tracklist che annega in una marea di suggestioni più e meno lontane, tutte abilmente filtrate dalla lente lucida e capace degli Squid. Building 650, ad esempio, pesca nella new wave sbilenca e acida dei Wire e in certe elucubrazioni math di casa Tortoise − e non è probabilmente un caso che ai bottoni del disco abbia fatto la sua comparsa anche John McEntire − che rendono benissimo il concetto dietro la musica degli Squid, in cui improvvisazione e calcolo matematico s’inseguono senza mai afferrarsi davvero. Blood On The Boulders si sbilancia verso quei The Fall che il post punk (quello vero) avevano contribuito a tiralo a lucido, la title track si attesta dalle parti di uno slowcore sbarazzino con echi di Mark Linkous/Sparklehorse, mentre la weirditudine arty di Showtime! si perde in una ritmica jazzistica che nel finale sfocia in una progressione dirompente, a completare uno dei passaggi più determinanti dell’intero disco. Roba tutt’altro che di poco conto nell’universo di riferimento della band.
E questo mischione sonoro fa il paio con ciò che sta alla fondamenta dell’ispirazione lirica di questi Squid, che è oscura e affonda in una malvagità umana tremendamente reale e tangibile, tra cannibalismo come metafora sociale (Crispy Skin), la fame di fama che attanaglia pressoché tutti (Showtime!) e un’ansia da cambiamento climatico che sta lì a martoriare le meningi di Ollie Judge in più di un momento, fino agli schizofrenici oltre otto minuti della conclusiva Well Met (Fingers Through The Fence).
Visti i primi due capitoli della loro discografica, la qualità degli Squid non era assolutamente in dubbio neanche prima (e vederli dal vivo da questo punto di vista fa tutta la differenza del caso, quindi se vi capita di poter timbrare il cartellino non pensateci due volte), ma adesso che “Cowards” è fuori ci troviamo davanti alla certezza assoluta di come la formazione inglese sia una delle cose migliori capitate alla musica alternativa negli ultimi X anni. Eclettici, ricercati e mai banali in nessuna delle soluzioni offerte, gli Squid sembrano davvero alieni arrivati sulla Terra per restarci: impossibile riuscire a non farsi rapire da queste creature.
2025 | Warp
IN BREVE: 4/5