Nessuna grande rivoluzione in casa Stateless, eccezion fatta per l’approdo presso la prestigiosa Ninja Tune. I climi notturni dell’eponimo esordio di tre anni fa (uscito per la berlinese !K7 Records) sono rimasti pressoché immutati, così come il modus compositivo che, seppur rivestito di colate di elettronica, mantiene intatto il suo substrato pop-rock. I prodromi non sono cambiati, gli Stateless si muovono tra le textures ombrose dei Massive Attack e nei paraggi della malinconia dei Radiohead, ma una sottile filigrana lega Matilda al suo predecessore, segno che un discorso fondato su una continuità funzionale alla definizione di una personalità più riconoscibile viene portato avanti. Chris James si conferma anche in questa sede vocalist creativo e tecnicamente dotato, suadente nei frangenti più a stretto contatto col primo album (Miles To Go), più d’impatto quando c’è da piazzare intriganti ritornelli (Assassinations, il bel singolo Ariel). Le canzoni, con i loro arrangiamenti eleganti ed accurati e le seducenti melodie, sono il grande punto di forza del combo di Leeds, che ospita i Balanescu Quartet coi loro intarsi d’archi in Ballad Of NGB (che richiama i Muse ma scevri da quella patina pacchiana che li ha resi idoli di un pubblico sempre più ciecamente onnivoro) e Song For The Outsider, e Shara Worden dei My Brightest Diamond, che duetta con James in quella I’m On Fire in cui si materializza lo spettro di Jeff Buckley. Il bassista Justin Percival si accomoda al microfono ed estrae dal cilindro, prima una Visions dal caldo retrogusto soul, poi si alterna a Chris James nelle venature gospel di Junior. La produzione di Damian Taylor (Bjork, Prodigy, Unkle) leviga i suoni, ipetrofizza bassi con mirate dosi di steroidi, rende seducente (ma anche un po’ troppo patinato e “ben educato”) un album che ha al suo interno parecchie potenziali hit. Ma a sbarrare la strada agli Stateless ci pensano i loro stessi tratti stilistici, proposti ormai fuori tempo massimo. Un album come “Matilda” non fa più scalpore, il vento oggi tira verso i chitarrini stupidini di chi scimmiotta le waves anni Ottanta con in mezzo patterns elettronici di poco conto (salvo alcuni casi eccezionali) e con cantanti talmente stonati e irritanti che trovarne uno con sana padronanza dello strumento sta diventando una fatica simile a quelle sostenute dal leggendario Ercole. Gli Stateless scrivono grandi canzoni, hanno del talento compositivo che solo chi non ha senso estetico non può non riconoscere (poi possono anche non piacere, è chiaro), ma vivono fuori dal tempo di uno spietato mercato sempre più orbo di significati e infarcito fino all’orlo di ributtante e vacuo significante usa e getta.
(2011, Ninja Tune)
01 Curtain Call
02 Ariel
03 Miles To Go
04 Visions
05 Assassinations
06 Red Sea
07 I’m On Fire
08 Ballad Of NGB
09 Song For The Outsider
10 Junior
11 I Shall Not Complain
A cura di Marco Giarratana