
Chi ama i Porcupine Tree o Steven Wilson viene oggi probabilmente visto come un residuato bellico, una nicchia di nostalgici di un passato che forse era già passato all’apice creativo della band del cantante, polistrumentista e produttore di Kingston (quella sul Tamigi). Pur professando un profondo ed eterno apprezzamento per Wilson, fateci fare una premessa, però: questo non sarà l’ennesimo, atroce pippone contro la trap e l’autotune. Abbiate pietà, nella vostra vita privata, ed evitate questa noiosa discussione, una discussione che si ripete dagli anni ’50 col rock’n’roll e il bebop. Certo, stavolta coincidenzialmente vi trovate dalla parte giusta della storia; peccato che non freghi un cazzo a nessuno.
Ma per Steven, un uomo immerso nella musica dalla punta dei capelli all’ultimo lembo di pelle del mignolino del piede, è un discorso che inevitabilmente verrà fuori nelle discussioni da bar elevate ormai a caratteristica permanente delle nostre vite tramite lo schermo del telefono, perché innanzitutto esce fuori il termine progressive, che richiama un passato ormai remoto – nonostante sia lo stesso Wilson a cercare di orientare il discorso: il progressive deve guardare avanti, non alle sue spalle, dice – e poi perché l’innegabile perizia tecnica del musicista ma anche del produttore fa subito scattare quell’interruttore del “ai miei tempi non si aggiustava la roba con l’autotune”. E poi The Overview contiene due sole tracce per quaranta minuti, l’uscita certamente più progressive del Wilson solista; progressive nel senso degli anni ’70, non tanto in quello che al termine ha attribuito lo stesso Wilson come curatore del meraviglioso boxset di 58 tracce “Intrigue: Progressive Sounds In UK Alternative Music 1979-89”, che raccoglie brani di Stranglers, PIL, Specials, New Order, 23 Skidoo, Rupert Hine, Kate Bush.
Progressive, quindi, come i Pink Floyd, come i Tangerine Dream e i Vangelis, dice lui. E l’influenza dei Floyd è evidente, prendendo ad esempio la meravigliosa melodia di Meanwhile, terza parte del primo movimento Object Outlive Us e forse brano migliore del lotto, nel quale però troviamo anche l’influenza di colleghi più recenti come i Motorpsycho, e un testo di uno dei più grandi eroi dimenticati del rock, Andy Partridge di quegli XTC che appropriatamente hanno trovato un meritato posto nella compilation sopra citata. Ma questa influenza, come anche una influenza beatlesiana notevole (forse incoscia? Forse mediata?), passano per krautrock, elettronica e, soprattutto, la fortissima personalità ed il talento del suo compositore ed esecutore.
Steven Wilson negli ultimi anni non possiamo dire abbia prodotto capolavori; sarebbe anche disonesto dire che album come “Hand Cannot Erase” (2015) o “The Harmony Codex” (2023) siano album brutti o senza spunti efficaci, anzi. Ma probabilmente mancava loro una forte ispirazione, un focus che è quello che guida entrambe le tracce di quest’album nello spazio del titolo, l’overview effect, ovvero un cambiamento cognitivo nella consapevolezza che avviene in alcuni astronauti vedendo la Terra dallo spazio, percependola improvvisamente come una piccola fragile sfera, un concetto unitario, senza confini, che necessità di protezione. E nel brano che chiude il secondo movimento (Permanence), nel quale emerge fortissima l’influenza, citata, di Vangelis, si percepisce quell’emozione del titolo, e quel progressivo come guardare al futuro, seppure con tutti gli strumenti fino ad ora raccolti.
2025 | Fiction
IN BREVE: 4/5