Dopo tredici anni di progetti “particolari”, ecco di ritorno al rock Gordon Sumner, meglio conosciuto come Sting. Lo vedi placido Sting, meditativo, con quell’aria da Pio XIII sorrentiniano, che ti racconta il suo nuovo album come se ti stesse raccontando il nuovo corso della sua chiesa, con quell’aria da neo-Bono Vox che si è conquistato fuori dal palco in questi anni a forza di predicozzi sull’ambiente, con quel piglio da homo superior che ha quando si lancia in descrizioni delle varie discipline Yoga che lo hanno reso un uomo migliore, di astrusi progetti neo-classici, sinfonici e folk, iddio ci scampi se manca il folk. Dimenticate temporaneamente le divagazioni, dimenticata anche la più che (economicamente) proficua reunion con gli ex-compari dei Police (condita anche lì da interviste talmente al limite con il personaggio del pontefice di The Young Pope da far venire il dubbio che possa essere ispirato a Sting), si prosegue da dove avevamo lasciato, nel 2003, il multimilionario musicista-barra-filantropo, cioè dalla più imbarazzante mediocrità compositiva unita a un suono iper-prodotto del quale è responsabile – sotto la dispotica direzione di Sting, si capisce – Martin Kierszenbaum, noto come Cherry Cherry Boom Boom, autore e produttore per Lady Gaga, t.A.T.u, Tokyo Hotel e Madonna, giusto per capire il genere.
E, esattamente come “Sacred Love”, anche questo 57TH & 9TH (da un incrocio ad Hell’s Kitchen, vicino allo studio di registrazione) è un album sostanzialmente trasparente, che non lascia traccia dopo l’ascolto: cerca di richiamare i Police in Petrol Head (probabilmente il miglior pezzo del lotto), “Ten Summoner’s Tales” in Pretty Young Soldier, “Desert Rose” in Inshallah, ma la reazione più spontanea a questa blanda collezione di banalità sono gli sbadigli.
Come se non bastasse, l’età comincia a farsi sentire a dispetto di un fisico mantenuto in maniera eccellente, di conseguenza la voce di Sting ha acquisito un tono più rauco e ha perso in estensione, affievolendo anche quel punto di interesse che avrebbe potuto prescindere dalla qualità dei pezzi. Far suonare Vinnie Colaiuta in canzoni simili dovrebbe essere considerato un crimine contro l’arte.
(2016, A&M)
01 I Can’t Stop Thinking About You
02 50,000 (New Version)
03 Down, Down, Down
04 One Fine Day (New Version)
05 Pretty Young Soldier
06 Petrol Head
07 Heading South On The Great North Road
08 If You Can’t Love Me
09 Inshallah
10 The Empty Chair
IN BREVE: 1,5/5