Home RECENSIONI Stone Sour – Hydrograd

Stone Sour – Hydrograd

In un periodo di relativo silenzio sul fronte Slipknot, Corey Taylor ne approfitta per dar vita a un nuovo capitolo dei suoi personalissimi Stone Sour. Giunta al sesto studio album, la creatura del frontman di una delle extreme band più seguite del nuovo millennio si trova ancora nella posizione di dover rafforzare la propria leadership sulla scena hard rock, specialmente dopo i due più che pregevoli “House Of Gold & Bones”.

La defezione di Jim Root, rimpiazzato dal turnista di lusso Christian Martucci, aveva preoccupato non poco i fan dei ‘Sour, più che altro per l’ipotizzabile perdita di spessore nel processo di scrittura; il singolo Fabuless, rilasciato a fine aprile, in un certo senso confermava i timori data la velata staticità proposta. L’incipit di Hydrograd, al contrario, è importante e i primi tre pezzi dopo l’intro YSIF (dal profumo sovietico) sono per molti aspetti il punto più alto raggiunto da una carriera oramai adulta.

Taipei Person/Allah Tea è un brano killer, a partire dal solido riff introduttivo la traccia prosegue con un tiro notevole nel suo incedere da anthem, tra strofe corali e un ottimo ritornello. Kievel Has Landed non accenna a rallentare e la base heavy è ben sostenuta da una ritmica precisa e quadrata. La title track Hydrograd è forse il punto più alto dell’album, anche se probabilmente arriva troppo presto per un LP di ben 15 tracce. Gli arrangiamenti “teatrali” sono un punto di forza indiscutibile del brano che mostra, tra le altre cose, l’abilità di Taylor nel modulare le proprie corde vocali a piacimento per un’interpretazione ai limiti del fenomenale.

Tutto davvero ottimo per un combo iniziale che getterebbe le fondamenta per il disco hard rock dell’anno, non fosse che le successive Song #3 e la già citata Fabuless rivelano appieno i limiti di un cultura musicale di stampo americano in cui i riempitivi sfortunatamente non vengono visti come una malattia da debellare. Quantità non significa mai qualità e soprattutto Song #3 ne è un esempio lampante, non sembra quasi nemmeno la stessa band di pochi minuti prima in questa pop rock song banale e sorpassabile.

Purtroppo il resto del lavoro è un lungo susseguirsi tra prestazioni piacevoli e altre che poco aggiungono all’insieme. Interessante nel complesso la performance interpretativa di Taylor, a suo agio in questa veste forse anche più che nella seconda parte di carriera degli Slipknot e pezzi come The Witness Trees e la ballad St. Marie non fanno altro che  confermarlo. Whiplash Pants e Somebody Stole My Eyes si avventurano nuovamente in territori più heavy con buona fortuna, accompagnati da due brani discreti come Mercy e Friday Knights che però peccano di poca personalità nel loro citare nemmeno troppo vagamente Dave Grohl e i suoi Foo Fighters.

In “Hydrograd” è una precisa identità a mancare piuttosto che la qualità: è vero che lo straordinario inizio non trova seguito nello sviluppo del disco, ma il riunire tante influenze in altrettante canzoni priva il contesto di profondità, rendendo questo record una raccolta di singoli che spaziano dall’heavy metal al soft rock scialbo di gente come Kid Rock. Un’occasione mancata di ridefinire gli standard attuali di genere, cosa che potrebbe essere ancora nella corde degli Stone Sour se solamente Taylor ne prendesse coscienza.

(2017, Roadrunner)

01 YSIF
02 Taipei Person/Allah Tea
03 Knievel Has Landed
04 Hydrograd
05 Song #3
06 Fabuless
07 The Witness Trees
08 Rose Red Violent Blue (This Song Is Dumb & So Am I)
09 Thank God It’s Over
10 St. Marie
11 Mercy
12 Whiplash Pants
13 Friday Knights
14 Somebody Stole My Eyes
15 When The Fever Broke

IN BREVE: 3/5

Michele Brusa
Da sempre convinto che sia il metallo fuso a scorrere nelle sue vene, vive la sua esistenza tra ufficio, videogames, motociclette e occhiali da sole. Piemontese convinto, ama la sua barba più di se stesso. Motto: la vita è troppo breve per ascoltare brutta musica.