Gli Stormo vengono dalla provincia di Belluno, ma sono come il Napoli di Spalletti. Venti e più punti sopra le inseguitrici, fatte le debite eccezioni. Quattro anni dall’ultima fatica e quasi un decennio dal primo, fulminante “Sospesi nel vuoto bruceremo in un attimo e il cerchio sarà chiuso” – ed eccoli ancora nel pieno delle forze, con un disco brutale e bellissimo.
Endocannibalismo esce per Prosthetic Records, segnando l’episodio forse più geometrico della loro carriera. La produzione è a cura di Giulio Ragno Favero, l’opera gode di una compattezza differente rispetto alle precedenti: più tornita, concentrata, spigolosa senza chiaramente essere né frettolosa né (ci mancherebbe altro) inconsistente. Anzi. Il peso specifico della velocità è direttamente proporzionale all’efficacia della sassaiola Rento-Trimeri-Coldepin, sulla quale le liriche mai indifferenti di Luca Rocco dormono sonni (tutt’altro che) tranquilli.
L’opening è affidato alla splendida Valichi, Oltre – il pezzo quasi più sinuoso del lotto, a volersi concedere questa licenza, insieme a Spire, Anabasi e forse la conclusiva Sopravvivenza e Forme. Ma la decostruzione in toni è un gioco inutile e a dir poco pretenzioso, quando si ha davanti tale riconoscibilissimo ben di Dio. Perché la verità è che ciò che ha sempre reso gli Stormo una band imprescindibile, nel panorama italiano ed europeo, sta proprio in quel superlativo assoluto: riconoscibilissimo. All’interno di un genere in cui è semplice perdersi nell’impeto di coiti precoci e maldestri, il quartetto ha mostrato subito una carta d’identità che continua a rinnovare, con sapienza internazionale, a cadenza regolarissima e potentissima.
Album da sbranare e da cui venir sbranati – “Endocannibalismo” è uno degli apici di una (speriamo) ancora lunghissima e prolifica carriera. Stringiamoci attorno al fuoco, camminiamo insieme, andiamo a caccia. La notte è lunga e in questo caso: meno male.
— 2023 | Prosthetic —
IN BREVE: 4/5