Una poetica degli spettri, quella di Mark Kozelek. Un’estetica dell’ego-eco come rifrazione di una luce purissima. “Ghosts Of The Great Highway”, d’altronde, fu il primo capitolo sotto il moniker Sun Kil Moon, e di medesimi ghosts non può che esser grondante questo bellissimo Benji. Passati, presenti, futuri: la Spoon River del cantautore statunitense cammina in bilico sui confini della propria cittadina, del nucleo famigliare, del mai dimenticato Ohio cui tornare e ritornare nella pulsione di definire una casa, identificarla per identificarsi di conseguenza. La splendida Carissa, in questo senso, è una chiarissima sintesi narrativa posta in apertura: «Era soltanto una mia cugina di secondo grado, ma ciò non vuol dire […] che io non dovessi conferire poesia alla sua esistenza, esser sicuro che il suo nome fosse conosciuto in ogni città».
Da un simile avvio, si diramano parentele e ricordi solo apparentemente circoscritti: sono storie della provincia americana, storie di ordinaria violenza, sfortuna, derisione, oblio. Sono il romanzo di (continua) formazione d’un musicista, d’un uomo, d’un ragazzo che si percorre metaforicamente on the road, fotografandosi. Così, ad esempio, lo zio di Kozelek è protagonista in Truck Driver, la madre e il padre sono legati da un meraviglioso fil rouge che va da I Can’t Live Without My Mother’s Love a I Love My Dad, Jim Wise altri non è che un amico di famiglia. Eppure, dal singolare all’universale e viceversa – come soltanto un grande artista è capace – il passo è di una brevità immensa. Si fa fatica a non innamorarsi del vecchio Jim, che uccide la moglie sofferente sul letto d’ospedale e poi fallisce il suicidio. Oppure non avere un soffio al cuore nella circolarità degli eventi che porta il Mark bambino, desideroso d’impugnare una chitarra per la prima volta, al Mark adulto che la suona dinanzi all’intera famiglia, sulle spoglie del papà di Carissa.
Non si può non scorgere nella chiosa di Dogs («Nessuno ha ragione, nessuno ha torto. La nostra vita ci dice in anticipo da quali modelli siamo attratti. E’ un posto complicato, questo pianeta che abitiamo») un riflesso che dall’adolescenza giunge all’oggi, o non riconoscere nella portentosa I Watched The Film The Song Remains The Same l’eco infinita di “24” (da “Down Colorful Hill”), in cui era forse ancora viva la speranza che, prima o poi, quella opprimente sensazione di oldness potesse svanire («Ottenni un contratto discografico nel 1992, da quel momento la mia fama, la mia band e il mio pubblico crebbero. Molte cose sono accadute da allora, ma ho scoperto di non poter minare la malinconia»). I lutti nazionali (Pray For Newton, Richard Ramirez Died Of Natural Causes) e le tragedie domestiche (l’enorme Micheline) non sono nemmeno due differenti facce d’una stessa medaglia: il volto è sempre il medesimo, quello tremendamente iconico di Kozelek.
In “Benji”, con “Benji” e per “Benji”, uno tra i più importanti songwriter al mondo continua a scolpire la propria sagoma nella roccia di un ipotetico, ulteriore Monte Rushmore per soli cantautori USA, circondandosi di buoni amici sia in studio (Steve Shelly e Will Oldham) che sulle corde (Ben’s My Friend è dedicata a Ben Gibbard).
Ma soprattutto fissando negli occhi i fantasmi d’una vita, i filmati in Super8 della gioia, le istantanee sovraesposte del buio e le memorie costanti. Che costantemente crescono, s’ingrossano, senza perdersi. Che ci dicono com’eravamo per mostrarci chi siamo, e ci dicono chi siamo per mostrarci come saremo. Con l’incrollabile certezza che della classe di Sun Kil Moon, noi, non ne potremo mai fare a meno.
(2014, Caldo Verde)
01 Carissa
02 I Can’t Live Without My Mother’s Love
03 Truck Driver
04 Dogs
05 Pray For Newtown
06 Jim Wise
07 I Love My Dad
08 I Watched The Film The Song Remains The Same
09 Richard Ramirez Died Today Of Natural Causes
10 Micheline
11 Ben’s My Friend
IN BREVE: 4,5/5