Come si fa a non volere bene ai Temples, con quel loro pastone lisergico che si rifà sotto di tanto in tanto da ormai una decina d’anni a questa parte? A ripercorrere con attenzione la loro discografia, c’è sempre un loro brano che va bene per l’occasione in cui di volta in volta ci si trova, una capacità d’accompagnamento e descrizione non proprio comunissima. Eppure i quattro di Kettering non hanno mai proposto nulla di rivoluzionario o di particolarmente personale, ma le influenze che hanno masticato, digerito e assimilato nel corso del tempo li hanno resi in un certo senso unici nel loro genere, sebbene a tratti ripetitivi, come accaduto con “Hot Motion”, il loro terzo lavoro in studio uscito nel 2019 che aveva fatto temere un affievolimento della vena compositiva di James Edward Bagshaw e soci.
Ma i Temples hanno anche dimostrato di essere una band intelligente, e così incassate le critiche ricevute nel 2019 li ritroviamo adesso dopo quattro anni − e mai s’erano presi così tanto tempo per pubblicare un nuovo album − con un po’ di carte sparigliate sul tavolo. In primis la produzione, che finora era sempre stata appannaggio della band stessa e che adesso, invece, è finita nelle mani di quel Sean Lennon conosciuto al Desert Dave Festival ed entrato da subito nell’orbita dei Temples (o i Temples nella sua, a seconda dei punti di vista); e poi lavorando sulle atmosfere, che se nei loro precedenti tre dischi vivevano di una certa uniformità qui sono invece decisamente più fluttuanti, al servizio di un sound che è anch’esso molto meno prevedibile all’interno della tracklist.
Exotico è un album assolato per concetto e realizzazione, un lavoro che gioca sull’immaginario come mai prima nella discografia dei Temples, un lavoro articolato in cui la band ripropone quanto di buono fatto in passato proiettandosi al tempo stesso verso altre soluzioni: le trame sintetiche, certo, ma quelle le avevano già messe in parte in mostra in “Volcano”, ma soprattutto l’inserimento di suoni ambientali e una frizzante vena pop, caratteristiche queste che finiscono con l’arrotondare il tutto. Ne sono una dimostrazione tracce come Gamma Rays o Oval Stones, ma anche Cicada coi suoi inserti orientaleggianti o Slow Days, che sfrutta la sua indolente lentezza per carezzare con tepore la parte centrale del disco.
Non mancano momenti in cui i Temples rispolverano chitarre d’ispirazione garage, come in Crystal Hall e Meet Your Maker, che ci ricordano da dove viene la band, ma sono passaggi funzionali all’andamento di un album che più che altro identifica la sua natura in pezzi come Giallo o la conclusiva Movements Of Time, dal forte sapore cinematografico, nei riverberi di Head In The Clouds oppure nella consueta psichedelia sixties di Liquid Air e della title track, che sono anche l’high five che i Temples propongono ai Tame Impala, da sempre un loro innegabile riferimento artistico. E poi ci sono Time Is A Light e Afterlife, che mettono insieme un po’ tutto quanto abbiamo detto e, accelerando i ritmi, lambiscono persino inattesi territori danzerecci.
A dover cercare il punto debole di “Exotico” non si fatica a trovarlo nella sua lunghezza: un doppio album per non risultare prolisso deve necessariamente avere una tracklist costruita con precisione maniacale, dove ciascun pezzo si incastri alla perfezione a ciò che lo precede e lo succede. In “Exotico” questo non accade sempre, i Temples vagano su sabbie bollenti, quelle di un deserto in cui si perdono tratti in inganno dai miraggi, che in questo caso altro non sono che l’infinità di spunti che la formazione inglese prende costantemente in prestito dagli ultimi cinquant’anni abbondanti di psych-rock e derivati. E succede così che alcuni passaggi, come nel caso ad esempio di Inner Space, risultino un tantino a vuoto, pegno da pagare a una struttura di album decisamente complessa. Peccati veniali di una band che strafà proprio perché sempre incentivata a fare.
In definitiva, commisurando le aspettative dettate da “Sun Structures” (2014), l’evoluzione sintetica avvenuta con “Volcano” (2017) e il mezzo passo falso avuto con “Hot Motion” (2019), si può affermare come i Temples di “Exotico” abbiano senza dubbio ripreso in mano le fila della propria musica, intervenendo lì dove gli si chiedeva di farlo (ovvero dal punto di vista della varietà della proposta) ma non per questo adagiandosi nella loro comfort zone, visto che di rischi i quattro se ne sono qui presi abbastanza. Niente male, niente male davvero, li immaginiamo già sui palchi dei festival estivi con questi nuovi pezzi in canna.
— 2023 | ATO/PIAS —
IN BREVE: 3,5/5