Da oltre un anno il nome dei Temples fa capolino sulle bocche degli addetti ai lavori, complici una manciata di anticipazioni azzeccate e qualche meritato complimento da parte di colleghi illustri (Johnny Marr e Noel Gallagher su tutti), ammaliati dalle innegabili qualità pop dei giovanissimi inglesi. Si sa, però, che un conto è giocarsela con un brano o due, un altro è mettersi alla prova con un intero disco.
I Temples con questo Sun Structures non deludono – dato fondamentale – le aspettative, pur mostrando ampi margini di miglioramento, in modo particolare sotto l’aspetto della personalizzazione di un sound che risulta troppo derivativo per far gridare al miracolo discografico. Ciò nonostante, la polpa c’è ed è succosa il giusto: a conti fatti, pur sempre di revival trattasi, ma non a tutti coloro che ci provano riesce bene come a James Edward Bagshaw (voce della band) e soci.
Revival di chi/cosa? Presto detto, non serve affatto un orecchio particolarmente affinato per immaginare, già a partire dall’iniziale Shelter Song, i vecchi vinili che devono essere passati fra le mani dei quattro durante le rispettive adolescenze. È la psichedelia a farla prepotentemente da padrona, quella dei Beatles “indiani” in primissimo luogo, talmente ingombrante e presente da rendere superflua ogni citazione di questa o quella traccia (ma l’accento vogliamo comunque porlo sul singolo Mesmerise): un enorme mantello che avvolge ciascuna delle dodici composizioni del disco.
Ma anche quella dei Tame Impala: altra ispirazione, la loro, altro mondo – tanto geografico quanto musicale – ma accomunabile per un certo gusto nel riprendere senza strafare mostri sacri dell’epopea sixties. Certo, gli australiani vantano un’attenzione verso il presente tecnologico che ai Temples manca pressoché del tutto, ma l’approccio è quello e si sente. C’è anche qualche venatura prog in “Sun Structures”, così come un paio di accenni floydiani che rendono ulteriormente giustizia ai natali della band.
I giochi di voci s’incastrano alla perfezione fra loro, il lavoro di “messa in vintage” fatto sull’intero album è encomiabile, così come la totale assenza di un passaggio a vuoto che sia uno. Tutto ciò fa di quest’esordio sulla lunga distanza dei Temples un lavoro affascinante e convincente, sì, ma ancora lontano dal far raggiungere alla band una propria effettiva dimensione. Dalla loro hanno la gioventù e siamo sicuri che, dati i presupposti, sapranno sfruttarla.
(2014, Heavenly)
01 Shelter Song
02 Sun Structures
03 The Golden Throne
04 Keep In The Dark
05 Mesmerise
06 Move With The Season
07 Colours To Life
08 A Question Isn’t Answered
09 The Guesser
10 Test Of Time
11 Sand Dance
12 Fragment’s Light
IN BREVE: 3,5/5