Il lungo flusso sonoro con cui Silberman e Lerner aprono il sesto disco a firma The Antlers ha il sentore dell’approdo. Questo in accezione sia positiva sia negativa. La parafrasi di questi due valori necessita di una piccola digressione.
Gli ultimi anni di Peter Silberman non sono stati facili: i problemi di salute che lo hanno angustiato, susseguendosi in maniera ravvicinata – udito prima, corde vocali poi – hanno sensibilmente minato il prosieguo della sua carriera e del progetto The Antlers. Però, nonostante le oggettive difficoltà, la volontà di continuare a scrivere testi e musica non si è anchilosata sotto i colpi del destino avverso. Infatti, nel 2017 il cantautore americano, senza i sodali Lerner e Cicci, ha pubblicato “Impermanence”,un disco di un’intimità abbacinante, quasi eterea, in cui si è compiuto il tentativo di esorcizzare la malattia, senza la necessità di appigliarsi alla retorica della battaglia. Da qui, poi, il ritorno con la ragione sociale Antlers è stato consequenziale: prima il tour per il decennale di “Hospice”– disco di indiscusso valore – e poi il ritorno in studio.
Viene da sé che il significato di questo approdo è positivo nella maniera in cui si fa portavoce di questa esperienza umana. Green To Gold è, parafrasando il titolo, il periodo aureo di Silberman in cui, fin dalle prime note, traspare un senso di benessere generale mai avvertito nei lavori precedenti. Allo stesso tempo, però, questo episodio appagato è foriero di un appiattimento sonoro. La cronaca dell’umore positivo degli ultimi due anni, se da una parte mette in connessione empatica l’ascoltatore con Silberman, dall’altra non gli fornisce nulla che lo faccia ritornare. I dischi precedenti – da “Hospice” a “Familiars” – erano costruiti in maniera più imprevedibile, per cui ogni ascolto poteva portare alla luce nuove chiavi di lettura sonore. A questo contribuiva anche quel pizzico di inquietudine che avvolgeva le partiture e i testi.
Licenziati gli aspetti negativi, “Green To Gold”, nell’ambito della discografia degli Antlers, ha comunque delle peculiarità: è il lavoro più folk di Silberman e Lerner, un tassello diverso rispetto alle sortite dream pop e art rock del passato. Le note di Strawflower hanno il profumo dei primi risvegli primaverili: sono primule sonore che anticipano il calmo e imperturbabile leitmotiv del disco. L’incedere sognante di Wheels Roll Home non fatica ad attecchire sulle pareti molli della memoria, ritemprate dalla lieta atmosfera del ritorno a casa. Solstice è un ipnotico abbraccio folk à la Fleet Foxes – altezza “Shore”. Nemmeno It Is What It Is si allontana da questo clima, anzi la ritmica compassata e le sortite dei fiati rendono ancor più onirici gli intimi passaggi testuali. Volunteer, invece, svicola dalla onnipresenza folk per raggiungere lidi più rarefatti. Si delineano echi dream pop anche nella title track, brano con una lunga coda strumentale non lontana dalle sinestesie sonore del Mark Hollis da solista. La fine è affidata, come per l’incipit, ad un brano strumentale, Equinox, che raccoglie nei titoli di coda il pulviscolo sonoro sprigionato nel disco.
È chiaro, non siamo di fronte ai livelli eccelsi dei tre lavori precedenti ma nemmeno ad uno svarione compromettente. Semplicemente si è scelta una comfort zone folk-cantautorale, che ha messo in soffitta lo spleen del passato per abbracciare un’aura di positività. Anzi, dorata.
(2021, Transgressive)
01 Strawflower
02 Wheels Roll Home
03 Solstice
04 Stubborn Man
05 Just One Sec
06 It Is What It Is
07 Volunteer
08 Green To Gold
09 Porchlight
10 Equinox
IN BREVE: 3,5/5