“Oh, for once in my life, could just something go right?”, canta Colin Meloy in Once In My Life, brano di apertura di I’ll Be Your Girl, ottavo album in studio per The Decemberists. Avvalendosi del produttore John Congleton (St. Vincent, Lana Del Rey), nel tentativo di liberarsi dei vecchi schemi e di provare qualcosa di diverso, la band di Portland prova a uscire dalla comfort zone grazie all’elemento elettronico, effetto sorpresa attorno a cui è ruotata l’intera produzione del disco.
In un mercato musicale ben delimitato in cui band come Lumineers, Head And The Heart, Mumford Snd Sons (per citarne alcune), si accostano a modelli di crossover pop come U2 o Coldplay, i Decemberists se ne discostano facendosi portavoce indiscussi di un genere simil-dark, un prog-folk-rock letterario, avvicinandosi indubbiamente a quella definita come “sinistra del quadrante”: upbeat e convenzionale. Caratterizzato da canzoni ambiziose dalle liriche disarmanti, che spesso e volentieri ruotano attorno al thrum e al ritmo dei synth di Jenny Conlee evocando immagini care al pop anni ’70 e ’80, “I’ll Be Your Girl” dà ampio spazio e visibilità alla penna di Meloy, che scatena la sua fantasia in testi oscuri dall’insolito umorismo.
La prima metà del disco apre a nuove trame sintetiche rispetto al consueto stile folk-rock rinascimentale cui i Decemberists ci hanno abituati. Once In My Life inizia come un classico “Meloy strum-singalong” e ricorda vagamente “Alive And Kicking” dei Simple Minds, con l’aggiunta di una linea synth che porta al ritornello, mix perfetto per una colonna sonora da film anni ‘80. Severed minaccia violenza attraverso un synth pop e una chitarra industriale dai ritmi di click-track-tempo, Starwatcher col suo tamburo ben definito, rende appetibili e sopportabili persino le calamità e la pseudo-nostalgica Cutting Stone anticipa Tripping Along, una ninnananna lussuriosa che ricorda l’era avventurosa della band.
Il riverbero della chitarra accompagna il crescendo di “la-la-la” à la Abba in Everything Is Awful, brano scritto sulla scia delle elezioni del 2016 nella nuova era di Trump, che suona più come una canzone per bambini che per adulti. Bambini presenti anche nel coro di We All Die Young, un bel pezzo dal calpestio glam surrealista, completo di assolo di sassofono, che trasforma il lamentoso titolo in un inno da arena rock.
A chiudere l’album Rusalka, Rusalka / The Wild Rushes, una ballata prog-folk-rock à la Pink Floyd di otto minuti. Le liriche narrano di un giovane amante che segue il canto di una sirena in una tomba d’acqua, sedotto dal suo fascino per otto minuti carichi di tensione drammatica e di suspense. Colin Meloy con la sua acuta dote narrativa descrive abilmente due vittime, un sacrificio provocato dal destino, ingenuo e ignaro: “And in the wild rushes, I went to my death”.
Dopo aver toccato il picco della fantasia con “The Hazards Of Love” del 2009, i Decemberists hanno semplificato la loro musica con qualcosa di più diretto e meno pignolo. Ogni band ha bisogno di rinfrescarsi e riconsiderare il proprio sound prima o poi, non importa quanto forte o longeva sia la sua carriera, la stagnazione creativa arriva per tutti. Nonostante alcune adorabili distinzioni, “I’ll Be Your Girl” è un album dal retrogusto dolceamaro, figlio di un compromesso che apre la strada a un suono più radio-friendly e lo fa a discapito della vera natura prog che da sempre ha contraddistinto i cinque di Portland.
(2018, Capitol / Rough Trade)
01 Once In My Life
02 Cutting Stone
03 Severed
04 Starwatcher
05 Tripping Along
06 Your Ghost
07 Everything Is Awful
08 Sucker’s Prayer
09 We All Die Young
10 Rusalka, Rusalka / The Wild Rushes
11 I’ll Be Your Girl
IN BREVE: 3,5/5