Non è così semplice individuare cosa sia sperimentale o classico all’interno di These Times, c’è una fusione talmente perfetta tra strumenti e macchine, passato e presente, angoscia e divertimento, da rendere assolutamente completa la soddisfazione durante l’ascolto. Pedal steel, hammond, una batteria crescente e perfettamente bilanciata con i cori e i backing vocals, sono le componenti sonore del settimo album della band californiana che non ha alcuna intenzione di cadere nel cliché del revival di se stessa, accontentandosi di buttare in pentola suoni vintage rispolverati da qualche sessione non andata a buon fine.
Coesiste una libertà totalizzante e sciamanica nei cromatismi di Black Light, nelle strade di Madeira nel video di The Way In, nel cazzeggio con sequencer e drum machine ispirato da J Dilla, nei chilometri accumulati che diventano ora miglia ora Miles Davis, nel meraviglioso classicismo di Speedway e nelle liriche: non giudizi, non profezie ma un qui e ora, con tutto quello che comporta il pensiero heideggerriano: decidi cosa vuoi essere (“Are you a shark or a rabbit”, da Recovery Mode), il tempo ti sfugge, lotta contro chi ha scelto al tuo posto, vivi qui, suona adesso, non credere nel futuro, “Stay strong / How long / By now” (da The Way In).
Suoni, scrittura, pittura: così ha lavorato Wynn durante le sessioni di “These Times” ed è così che è nato anche “Switching The Polarity Of Sight”, una serie di dipinti ispirati e creati in concomitanza con la realizzazione di “These Times”, nell’estate del 2018. Steve Wynn, Jason Victor, Mark Walton, Dennis Duck e Chris Cacavas mettono in scena un secondo atto perfetto, il degno seguito del ritorno “How Did I Find Myself Here?” (2017): una combo di strafottenza, eleganza, angoscia, divertimento e sensualità.
(2019, Anti-)
01 The Way In
02 Put Some Miles On
03 Black Light
04 Bullet Holes
05 Still Here Now
06 Speedway
07 Recovery Mode
08 The Whole World’s Watching
09 Space Age
10 Treading Water Underneath The Stars
IN BREVE: 4/5