Il manifesto di formazione che il belga Joachim Liebens − da Hasselt… sì, la città del Pukkelpop − ha voluto incidere con l’esordio dei The Haunted Youth, la sua band/progetto musicale, è di quelli intellegibili all’istante. Confezioni su confezioni di dream pop d’annata, luccicanti spolverate shoegaze e una ricorrente vena psichedelica che percorre il disco da cima a fondo, pur non essendo mai la vera protagonista. E quando spunta il suffisso -gaze da qualche parte i nomi che saltano all’orecchio sono inevitabilmente sempre gli stessi, quindi anche nel caso di questo Dawn Of The Freak, ovvero My Bloody Valentine (e per aggirare qualsiasi domanda al riguardo Liebens sfoggia proprio una maglia del loro “Loveless” in un servizio fotografico) ma soprattutto Slowdive, con cui The Haunted Youth hanno in comune un certo modo di ricercare le melodie (a testimonianza del quale basterebbe già il solo singolo Teen Rebel coi suoi umori agrodolci).
Al netto degli evidenti rimandi (cui aggiungiamo anche gente come DIIV e Beach House, giusto per andare avanti tra le ormai numerose generazioni di dreamgazer che si sono susseguite nel tempo), quello di Liebens è un ottimo lavoro di accorpamento di vecchi e nuovi spunti, di chitarre e synth che s’accavallano con dolcezza (i sette minuti di Gone, perno dell’intero disco), di languori adolescenziali e riflessioni più mature (il belga ha ventinove anni, non esattamente un ragazzino), in un costante equilibrio tra progressioni indie pop mainstream (vedi Broken o Coming Home) e consistenza lo-fi (vedi Stranger).
L’apparente vestito “loser” che Liebens cuce addosso al disco (I Feel Like Shit And I Wanna Die ne è un buono specchio, già a partire dal titolo) nasconde una sensibilità a tratti davvero scarna e asciutta (come nel caso dell’acustica pizzicata della conclusiva Fist In My Pocket), ma che più spesso s’immerge in atmosfere eteree e rarefazioni che la elevano ben oltre il vestito di cui sopra (in Shadows accade esattamente questo, rendendo evidente anche una certa furbizia nella stesura dell’incedere del pezzo). “Dawn Of The Freak” non sarà certo il disco che darà nuova linfa a un genere di per sé piuttosto stantio (ma cui dopotutto non si chiede null’altro che ciò), ma riesce ampiamente a soddisfare tanto il palato dei vecchi dinosauri fossilizzati su certe sonorità, quanto quello di chi questa stessa roba ha cominciato a masticarla la settimana scorsa.
— 2022 | Mayway —
IN BREVE: 3,5/5