“Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli”. È doveroso scomodare Oscar Wilde per iniziare a parlare di Imploding The Mirage, sesto lavoro dei The Killers, perché tra chi lo ama alla follia e chi non lo sopporta, si può già intuire che avrà un buon successo. Si tratta del primo album senza il chitarrista fondatore Dave Keuning, ma che si avvale di numerose collaborazioni come Lindsey Buckingham (ex Fleetwood Mac), Blake Mills, Lucius, Adam Granduciel (The War On Drugs), k.d. lang, Weyes Blood e Jonathan Rado (Foxygen), quest’ultimo in particolare ha anche affiancato Shawn Everett in qualità di produttore.
I testi delle dieci tracce ruotano intorno alla figura del frontman Brandon Flowers e ai suoi rapporti con la famiglia e la band, senza scadere nel banale, e il sound anthemico comprende prevalentemente influenze synth rock e pop e dettagli tipici dell’heartland rock e della new wave. Per poterne cogliere tutti i particolari sono necessari più ascolti, ma ad un orecchio attento non sfuggono fin da subito alcuni rimandi al meglio degli anni Settanta e Ottanta: la fonte d’ispirazione più diretta è ovviamente Bruce Springsteen, ma si può parlare di un vero e proprio ventaglio di influenze che, oltre al Boss, include Peter Gabriel, U2, Tom Petty and the Heartbreakers, Dire Straits, David Bowie, Talking Heads, Tears For Fears, Queen e molti altri. Alla luce di tutto ciò è palese che la band di Las Vegas abbia fatto i compiti e nulla sia casuale, nemmeno le splendide copertine dei singoli e dell’album, opera dell’artista Thomas Blackshear. A detta di Flowers vi è una connessione stretta tra le tracce e l’artwork, la cui elaborazione è andata di pari passo con il processo di registrazione, divenendo a tutti gli effetti una parte integrante del progetto da cui poter attingere ulteriore ispirazione per scelte in materia di sonorità e testi.
Si entra subito nel vivo con l’energica e trionfante My Own Soul’s Warning, uno dei brani di spicco del disco e il preferito del frontman; la leggera Blowback unisce heartland rock e synth, mentre Dying Breed è di chiara ispirazione new wave e contiene samples dei synth di “Hallogallo” dei NEU! e di “Moonshake” dei Can. È poi la volta della più orecchiabile e springsteeniana Caution e di Lightning Fields, featuring con k.d. lang, che parla della relazione tra i genitori di Flowers. I toni funk di Fire In Bone rimandano a Bowie e ai Talking Heads di ”Remain In Light” (1980), mentre Running Towards A Place sorprende con una bella semi-citazione di William Blake nel bridge.
Il trittico finale comprende tre tracce interessanti, ovvero My God, frutto di una collaborazione con Natalie Meringa ka Weyes Blood, When The Dreams Run Dry, che parla dell’importanza di avere qualcuno al proprio fianco e unisce il tipico sound dei Tears For Fears a qualche coro che strizza l’occhio ad alcuni brani dei Queen del periodo di “The Works” (1984) e “A Kind Of Magic” (1986), e la title track Imploding The Mirage che conclude perfettamente il percorso con lo stesso tono di trionfo dell’inizio.
Brandon e soci hanno spinto al massimo sull’acceleratore e non si sono risparmiati con “Imploding The Mirage”: curato nei dettagli, dalle cover art alle liriche, alle collaborazioni e con un mix studiato di sonorità direttamente dagli anni Ottanta, risulta equilibrato e nel complesso funziona bene. L’idea attuale del frontman sarebbe quella di chiudersi immediatamente in studio e registrare nuovo materiale, ma considerata la fatica fatta per raggiungere un risultato soddisfacente, il consiglio è quello di non correre troppo.
(2020, Island)
01 My Own Soul’s Warning
02 Blowback
03 Dying Breed
04 Caution
05 Lightning Fields (feat. k.d. lang)
06 Fire In Bone
07 Running Towards A Place
08 My God (feat. Weyes Blood)
09 When The Dreams Run Dry
10 Imploding The Mirage
IN BREVE: 3,5/5