Quando sul posto di lavoro fanno capolino i sentimenti il rischio che le cose prima o poi s’incrinino è altissimo; se poi il lavoro in questione è quello in una band, il rischio diventa certezza. Discorso diverso se invece i sentimenti arrivano prima della musica, vedi un caso emblematico come quello dei Low, con Alan Sparhawk e Mimi Parker che ormai da oltre venticinque anni tessono congiuntamente tanto il loro privato quanto la parallela incarnazione artistica.
Steve Clarke la sua dolce metà l’ha trovata nel 2014, quando iniziò a lavorare con i tour dei riuniti Slowdive di Rachel Goswell. Da lì si sono concretizzati dapprima il loro rapporto, poi un matrimonio e adesso anche The Soft Cavalry, progetto che li vede insieme come effetto del loro amore e non come causa. Un progetto cui Clarke pensava da tempo ma che, complici una serie di circostanze avverse, non era mai riuscito a portare a compimento. Inevitabile come gli abbia giovato stare accanto a una personalità umana e professionale massiccia come quella di Goswell, quantomeno per sbloccarsi e mettere finalmente mano a quella manciata di pezzi che aveva in mente da un po’.
Sì, perché The Soft Cavalry è chiaramente più frutto delle esperienze e del background di Steve che di Rachel, che infatti qui funge più da saporito condimento che non da portata principale. Ma non è certo un complimento quello che facciamo al disco dicendo che è solo quando il condimento pizzica di più che il piatto stuzzica davvero le papille gustative: la voce di Goswell è ormai un punto di riferimento assoluto per ogni esperienza dreamy e in un brano come Passerby, in cui si ritaglia il massimo dell’esposizione, ne dà l’ennesima – e affatto necessaria – dimostrazione. Ma a parte un paio di episodi, vedi l’iniziale Dive o Mountains, dell’estetica dream pop/shoegaze tanto cara a Goswell qui c’è davvero poco, perché come si diceva sono più le influenze psych di Clarke e un certo afflato spaziale a forgiare l’album (basti ascoltare il binomio Careless Sun/Spiders per farsene un’idea).
Oltre a un po’ d’inconsistenza in più di un passaggio, non giova peraltro a “The Soft Cavalry” la sua stessa prolissità, quasi un’ora di durata per dodici tracce che risultano così spesso appesantite da un abito psichedelico che anziché vestirle morbidamente finisce per soffocarle (su tutte Home, che non si apre davvero mai). Ok i buoni propositi, tante felicitazioni, ma purtroppo la sostanza è davvero pochina.
(2019, Bella Union)
01 Dive
02 Bulletproof
03 Passerby
04 The Velvet Fog
05 Never Be Without You
06 Only In Dreams
07 Careless Sun
08 Spiders
09 The Light That Shines On Everyone
10 Home
11 Home Mountains
12 The Ever Turning Wheel
IN BREVE: 2,5/5