Da fine anni Settanta ad oggi, il verbo new wave è stato declinato una quantità di volte tale da averne irrimediabilmente imbastardito l’originario significato. Luis Vasquez col progetto The Soft Moon ha ampiamente dimostrato di conoscerle tutte quelle declinazioni: un omonimo esordio (2010) marchiato a fuoco dal post punk, poi il sophomore “Zeros” (2012) in cui fanno capolino le prime decise virate verso la dimensione industrial. E adesso questo Deeper, ultima rimodulazione del concetto wave in chiave elettronica.
La tendenza verso territori Nine Inch Nails del disco del 2012 trova qui la definitiva consacrazione. Dopo l’intro Inward, infatti, il singolo Black lascia davvero poco spazio alle interpretazioni, con quel rumorismo ossessivo e straniante che deve più di un input a Trent Reznor: fruscii, ronzii, allarmi metallici e chi più ne ha più ne metta, a coltivare un immaginario post-tutto che porta direttamente ai NIN. Così come svariati altri momenti all’interno del disco, vedi il piano di Without, una ballata che non trasuda la devastazione emotiva del Reznor più marcio solo perché Luis non è Trent.
Messa da parte la venerazione di Vasquez – nonché la nostra – per i NIN, è quando si presentano spunti diversi che l’album decolla: Far e Being riprendono le ritmiche post punk degli esordi, Feel è synth-wave eighties à la Depeche Mode, la title track ha dei tribalismi che ridanno all’uomo ciò che il robot gli ha strappato. E poi la parte centrale del disco con Wasting, Wrong, Try e Desertion che fanno sprofondare l’album in uno scurissimo oceano di sintetizzatori senza via d’uscita.
Nonostante risulti inevitabilmente derivativo, “Deeper” è uno di quei lavori – sempre più rari – che si apprezzano proprio perché ricollegano senza strafare a sonorità troppo spesso bistrattate e che qui, invece, trovano il giusto tributo espressivo.
(2015, Captured Tracks)
01 Inward
02 Black
03 Far
04 Wasting
05 Wrong
06 Try
07 Desertion
08 Without
09 Feel
10 Deeper
11 Being
IN BREVE: 3,5/5