Un album folk è un album folk, senza se e senza ma. Sembrerà anche una banalità, un’ovvietà, ma è bene tenerlo a mente quando ci si accosta all’ascolto di determinati lavori, ad esempio quelli di Kristian Matsson col suo pseudonimo The Tallest Man On Earth. È impossibile chiedere più di ciò che questi artisti sono disposti di volta in volta a concedere, impossibile ottenere varianti in un genere che è più una filosofia di vita applicata alla musica.
Matsson giunge con questo Dark Bird Is Home alla sua quarta pubblicazione sulla lunga distanza, ma se lì in un angolo della retrocopertina non ci fossero le date d’uscita, si faticherebbe e non poco a ordinarli cronologicamente. Se non si fosse capito, stiamo dicendo che l’uomo più alto del mondo ha dato nuovamente fondo a tutta la sua straripante forza espressiva per tessere una tela che ha tanto le sembianze degli autoritratti di Van Gogh: decine e decine, tutti pressoché identici fra loro, ma in ognuno di essi si scorge una ruga diversa, un seppur minimo riflesso differente che lo rende in sé unico.
Detta così potrebbe anche sembrare una cosa negativa, se non fosse che il livello di partenza, la tacca segnata da Matsson, era già parecchio difficile da eguagliare: in “Dark Bird Is Home” si sente ancora fortissimo l’eco di Bob Dylan, vero fantasma vivente che aleggia sulle undici tracce (e in brani come Slow Dance e Beginners anche nell’approccio vocale), così come la lezione dello Springsteen acustico in Darkness Of The Dream e Sagres, con quest’ultima che presenta una sezione d’archi che è la vera – seppur flebile – novità dell’interno disco.
L’arpeggio della conclusiva title track ha qualcosa del primo Justin Vernon aka Bon Iver, mentre Little Nowhere Towns ripresenta quel pianoforte che se non esistesse la sei corde acustica sarebbe di certo lo strumento cardine di questo songwriter. Ma, in generale, Matsson sembra non avere affatto l’esigenza – in primis personale, se non tanto commerciale – di discostarsi dalla propria dimensione, mettendo l’ascoltatore davanti al bivio del “prendere o lasciare”, senza alcun margine di trattativa.
(2015, Dead Oceans)
01 Fields Of Our Home
02 Darkness Of The Dream
03 Singers
04 Slow Dance
05 Little Nowhere Towns
07 Sagres
08 Timothy
09 Beginners
10 Seventeen
11 Dark Bird Is Home
IN BREVE: 3/5