Che il signor Abel Makkonen Tesfaye, l’artista e produttore di grandissimo successo noto con lo pseudonimo di The Weeknd, avesse talento ce ne eravamo certamente accorti prima di oggi. Del resto non è una coincidenza se i notoriamente stitici Daft Punk ci abbiano collaborato non per uno, ma due singoli, i multiplatino “Starboy” e “I See It Coming”, dall’album multiplatino “Starboy” (2016). Ma c’è talento e talento.
C’è il talento nel fare soldi, e quello sfidiamo chiunque a negarglielo: a scorrere rapidamente la sua discografia le parole “platino” e “oro” e il numero 1 arrivano alla vista come la pioggia sugli ombrelli passeggiando sul lungo Tamigi, costanti, ininterrotte. C’è poi il talento nel riconoscere il talento, e il talento nello stringere relazioni e collaborazioni: come il precedente, talenti non comuni che è difficile negare appartengano a Tesfaye, che negli anni ha collaborato con una miriade di artisti di altissimo livello.
C’è ancora il talento nell’essere un bravo produttore, un bravo artefice di suoni, di suoni originali: raro come la neve nel deserto, se ci consentite un’altra metafora metereologica, in un’epoca in cui tutto suona uguale, quantizzato, sterilizzato, noiosa base per consentire a personaggi noiosi e di scarso talento di sommergere il mainstream radiofonico con le loro blande amenità di velata matrice sensuale (o, nel caso della trap, di ostentata matrice autocelebrativa della propria ricchezza e/o successo). Tesfaye, che da quei francesi collaboratori di un tempo (che, ritirandosi, ci hanno spezzato il cuore non troppo tempo fa) ha carpito qualche segreto non irrilevante e l’ha fatto suo, ha certamente un suono raffinato, peculiare, memorabile. Meglio, ha un suono che lo identifica, che lo distingue: sentendo la sua musica è sempre chiaro che sia la sua musica, o, alla peggio, di qualche stronzo che lo imita.
Ma nessuno di questi talenti che il giovane artista canadese possiede implica la necessità di un talento sempre più raro di questi tempi: il talento di scrivere non già una bella canzone (ché con una botta di culo capita pure ai Ricchi e Poveri, con tutto il rispetto per Marina e il baffone), ma un intero stramaledettissimo album di belle canzoni. Valide, memorabili, originali e durevoli nel tempo. È un talento del quale, peraltro, non sembra più importare a tanti; l’album, come concetto, diventato importante negli anni ’60 con i Beatles, a causa dello streaming sta tornando ad assumere quel significato che aveva prima di “Rubber Soul”. È la canzone che rileva: fa i numeri su YouTube, la usi su TikTok (citofonare Maneskin), te la piazzano in qualche pubblicità e la passano alla radio, finisce nelle playlist Spotify e quant’altro.
Sarebbe ingiusto denigrare da questo punto di vista The Weeknd: nessuno dei suoi album è insufficiente, neanche per scherzo. Buoni prodotti, buona musica, grandi singoli (anche quelli che ci hanno sfracanato i coglioni come “Blinding Lights”). Ma, al quinto album di studio, era ora di crescere. E, ascoltando Dawn FM, possiamo certamente dire che crescita fu. Prodotto, tra gli altri, con Oneohtrix Point Never, Swedish House Mafia e Calvin Harris, ha la forma, molto labile, di un concept album narrato da Jim Carrey (in gran forma in questa versione di deejay esistenziale), nel quale convivono le ispirazioni di due numi tutelari: i già ripetutamente citati Daft Punk, con il loro epico tributo al funk e alla disco di fine anni ’70 e inizio anni ’80, e il Michael Jackson di “Off The Wall”.
E infatti, rispecchiando una mossa già usata proprio dai primi con “Giorgio By Moroder”, chiamano il produttore del secondo, Quincy Jones, a parlare su una suadente e raffinata base musicale, proprio come fece Moroder in “Random Access Memories”. E, mentre Carrey narra inquietanti intermezzi, suggerendo che l’album sia la colonna sonora della fine, Tesfaye produce i migliori pezzi della sua carriera. E anche i migliori singoli: Take My Breath, qui in versione estesa, funzionale alla sua posizione centrale nell’album, e Sacrifice si prendono questo titolo a mani basse. Ma, come ogni grande album che si rispetti, non vive certo di soli singoli, i grandi pezzi spuntano a poco a poco, con gli ascolti ripetuti, come la cruda Gasoline o la morbida Here We Go Again, che trova ospite Tyler, The Creator (unico altro featuring quello di Lil Wayne in I Heard You’re Married, terzo singolo estratto).
“Dawn FM” va un po’ qualitativamente scemando sul finale (chissà se non ci dovremo rimangiare queste parole negli anni a venire), ma viene ripreso dal meraviglioso e sonoramente rilevante monologo finale di Carrey (“So sit back and unpack / You may be here a while / Now that all future plans have been postponed / And it’s time to look back on the things you thought you owned / Do you remember them well?”), che chiude il concept in maniera straordinaria. Insomma, pare proprio che bisogna aggiungere un altro talento alla lunga lista dell’onnipresente artista canadese. E “Dawn FM” è certamente il primo grande album di questo 2022, terzo anno dell’era pandemica.
(2022, XO / Republic)
01 Dawn FM
02 Gasoline
03 How Do I Make You Love Me?
04 Take My Breath
05 Sacrifice
06 A Tale By Quincy
07 Out of Time
08 Here We Go… Again (feat. Tyler, The Creator)
09 Best Friends
10 Is There Someone Else?
11 Starry Eyes
12 Every Angel Is Terrifying
13 Don’t Break My Heart
14 I Heard You’re Married (feat. Lil Wayne)
15 Less Than Zero
16 Phantom Regret By Jim
IN BREVE: 4/5