John Paul Jones, Dave Grohl e Josh Homme sono stati costruttori del Rock. Ognuno di loro con tempi e modi diversi, ognuno di loro posando almeno una pietra sull’intera architettura. Jones è l’ingegnere finissimo dei capolavori dei Led Zeppelin degli anni ’60 (sceglietene uno a caso dall’I al IV). Grohl ha impastato calce grunge in quel disco-diga che è “Nevermind”. Homme ha scartavetrato i nineties con i Kyuss e poi, a lavori fermi, ha eretto le mura hard rock del nuovo millennio con “Songs For The Deaf”. La loro, insomma, è una storia comune. Fatta di grande rock e di impennate. Sono stati motori da cui partire, bandiere da sventolare, volti del rock che si rigenera sempre, anche quando se ne decreta più volte la morte. Da qualche tempo i tre avevano pensato di fare qualcosa assieme, oggi ecco i Them Crooked Vultures. L’efficace ragione sociale corredata dall’immagine d’un uomo dalla testa d’avvoltoio, ha iniziato a far parlare di sé su Twitter. I messaggi linkavano misteriose Google Maps con le indicazioni di chissà quali luoghi. Quando s’è capito che dietro ci stavano Jones, Grohl e Homme i Vultures avevano già mangiato moltissimi chilometri in tutt’America con decine e decine di live. Perché è naturale che una band come la loro parti dalla dimensione live. E’ lì che si testano umori, sudori, papille, ghiandole. E’ lì, sui palchi, che si prova la prima dose. Solo dopo, Them Crooked Vultures, il debutto discografico, è potuto venire fuori come oggetto sonoro. Mettiamolo subito in chiaro: l’albo non raggiunge nessuno degli illustri colleghi citati prima, ma perlomeno è un disco fatto di gusto, suonato con gusto, e immolato al gusto dell’elettricità. Canzoni possenti come pietra, dure come il deserto rosso che c’è nell’America del sud, quello dove svolazzano obliqui avvoltoi affamati di carcasse. Musicalmente, dunque, i Vultures sono un compendio di chitarre riffate, drumming sbrodoloso, e roccanrolla classico. Di quelli che, se aprite la finestra e rivolgete verso fuori le casse dello stereo, farebbero muovere su e giù la testa del passante più distratto. Un disco veloce, da pulsazioni, sgommate, testacoda. Psichedelico e casereccio, affannoso e sicuro di sé. Gradasso e generoso. Mosso da una e un’unica motivazione: divertirsi con i ferri del mestiere che meglio si conoscono. Ci aspettavamo un disco che avesse qualcosa da dire? Ne siamo rimasti delusi. Ci aspettavamo musica da fine del mondo? No, non abita qui. Ci aspettavamo un po’ di sano sbronzarsi di suoni pieni r ‘n’ r? Ecco, qui ci abbiamo preso ed è il motivo per cui mandare giù questo bicchiere rock cantina Jones-Grohl Homme. Non è molto, ma per il momento ci accontentiamo.
(2009, Interscope)
01 No One Loves Me & Neither Do I
02 Mind Eraser, No Chaser
03 New Fang
04 Dead End Friends
05 Elephants
06 Scumbag Blues
07 Bandoliers
08 Reptiles
09 Interlude With Ludes
10 Warsaw Or The First Breath You Take After You Give Up
11 Caligulove
12 Gunman
13 Spinning In Daffodils
A cura di Riccardo Marra