Che la passione di Jared Leto per la musica sia vera e sincera nessuno può dubitarne. Uno con il suo profilo artistico, con quella statuetta dorata sulla mensola del caminetto del villone a Hollywood e le vagonate di fan adoranti che lo inseguono in giro per il mondo, non avrebbe certo bisogno di continuare a perdere tempo negli studi di registrazione per racimolare dollari e rafforzare la propria posizione.
Ma a una grande passione non corrisponde sempre una resa discografica direttamente proporzionale, altrimenti saremmo tutti star navigate e universalmente apprezzate del music business. Precisiamo: non è che dai Thirty Seconds To Mars ci siamo mai aspettati – e infatti non l’abbiamo mai avuto – chissà quale miracolo, giusto una manciata di singoli accettabili, un pop rock buono appena a colmare qualche buco nei cartelloni dei festival più trasversali e un frontman da copertina. E almeno questo la band di Leto ce l’ha sempre dato, al netto delle comprensibili questioni di gusto che possono portare ad amarli o detestarli.
Il problema del loro quinto disco è che in cinque anni, ovvero quelli trascorsi dal precedente “Love, Lust, Faith And Dreams” (2013) a questo America, la presunzione strettamente musicale di Leto dev’essere montata a dismisura, fino a impazzire come la più improbabile delle maionesi fatte in casa. E dev’essere stato proprio questo delirio di onnipotenza a fargli credere che sarebbe bastato restare in scia alle mode del momento (vedi le trappate orripilanti di One Track Mind e Hail To The Victor), rubacchiare qua e là e rilasciare qualche intervista piaciona, per farla franca ancora una volta.
Non è andata così, purtroppo per i Thirty Seconds To Mars. La svolta elettronica tanto sbandierata è ne più e ne meno di una svolta semplificante, orientata a ottenere ancora una volta il massimo risultato con uno sforzo che definire minimo sarebbe oltremodo riduttivo. L’album (che nelle intenzioni sarebbe la colonna sonora del documentario “A Day In The Life Of America”, diretto dallo stesso Leto e di prossima uscita) è un’accozzaglia di elementi che neanche lontanamente sottintendono un legame, messi lì a fare a botte tra loro, con la tremebonda acustica di Remedy a buscarle più di tutti.
La circostanza che poi, a prestarci attenzione, “America” vorrebbe anche essere un album di protesta nei confronti della politica statunitense, peggiora ulteriormente la situazione anziché migliorarla, perché messaggi validi – seppur banali e abusati – finiscono per annegare in un mare di coretti e synth da primo giorno di scuola (in questo senso Dangerous Night è roba da sbattersi la testa nel muro). A tratti imbarazzante, “America” è in media un album semplicemente brutto, di quella bruttezza che trasforma l’indifferenza in rabbia.
(2018, Interscope)
01 Walk On Water
02 Dangerous Night
03 Rescue Me
04 One Track Mind (feat. A$AP Rocky)
05 Monolith
06 Love Is Madness (feat. Halsey)
07 Great Wide Open
08 Hail To The Victor
09 Dawn Will Rise
10 Remedy
11 Live Like A Dream
12 Rider
IN BREVE: 1/5