Di epigoni che con risultati più o meno soddisfacenti tentano di superare maestri che puntualmente si rivelano insuperabili abbiamo pieni zeppi gli scaffali e gli hard disk. Quando si tratta di ragazze che scelgono d’imbracciare una chitarra, poi, salta spesso fuori come un fantasma il nome di PJ Harvey, ancora in piena attività, al contempo classica e moderna e per questo agognato traguardo di tante. Mackenzie Scott, meglio nota come Torres, non aveva fatto mistero col suo omonimo esordio del 2013 di quanto Polly Jean rappresentasse per lei ben più di una stella polare. Era chiaro, quindi, che per il secondo capitolo della sua discografia la giovane songwriter americana dovesse avere come obiettivo la propria crescita artistica.
Con Sprinter la Scott fa un decisivo passo avanti in questa direzione, condendo con nuovi elementi un sound che rischiava di farla rimanere un’incompiuta. Per sentirsi al sicuro, nell’iniziale Strange Hellos e nella title track tiene PJ sempre lì immobile a vigilare che tutto vada per il meglio (e, giusto per non rischiare, c’è anche Rob Ellis in cabina di regia, uno che lavora spesso con la Harvey), ma tantissimi altri spunti pescati qua e là nel rock al femminile fanno capolino nelle nove tracce dell’album.
Ad esempio Sharon Van Etten, con cui Mackenzie mostra parecchi punti di contatto in quanto a pathos in brani come A Proper Polish Welcome e The Harshest Light. Oppure Annie Clark/St. Vincent in un pezzo come Cowboy Guilt, con la sezione ritmica elettronica e la voce effettata che hanno a dir poco le sembianze del tributo. Ancora, Anna Calvi nel retrogusto noir di Ferris Wheel e Chelsea Wolfe nella scurissima sperimentazione di Son You Are No Island.
In generale, “Sprinter” è un album che pur mantenendo il necessario afflato cantautorale e acustico, gioca molto, molto di più con l’elettricità, si fa forte di una vera band alle spalle (che si sente tutta nella seconda metà di New Skin, giusto per cogliere un momento simbolo) e suona decisamente meno intimo del predecessore, fatta eccezione per la conclusiva The Exchange che più che una canzone è una pagina di diario lunga quasi otto minuti.
Nonostante i nomi citati siano ben più scafati di Torres, Mackenzie con “Sprinter” riesce nel difficile compito di trarre ispirazione senza scadere nella riproposizione pedissequa (e quindi divenire mero epigono), miscelando abilmente il tutto con quell’ingrediente fondamentale che è il suo riconoscibilissimo songwriting. La definitiva maturazione.
(2015, Partisan)
01 Strange Hellos
02 New Skin
03 Son You Are No Island
04 A Proper Polish Welcome
05 Sprinter
06 Cowboy Guilt
07 Ferris Wheel
08 The Harshest Light
09 The Exchange
IN BREVE: 3,5/5