Difficile capire dove l’ispirazione “naturista” si celi nel nuovo The Catastrophist, ma sta forse lì il mistero dei Tortoise, ieri come oggi. E oggi il ritorno della band di Chicago dopo una lunghissima gestazione di sette anni racconta Tortoise più immediati rispetto a quelli del precedente “Beacons Of Ancestorship” (stracolmo di barocchismi e giochi), ma comunque affamati di trovate ritmiche progressive.
Il suono di questa catastrofe trova riferimenti nell’electro-funk (Ox Duke, Hot Coffee), nell’elettronica anni ’80 (Gopher Island, Shake Hands With Danger) e non è privo di stranezze come i romanticismi di Yonder Blues, unico brano cantato insieme alla cover di David Essex Rock On. I Tortoise si dimenano, volteggiano nei loro strumenti, s’arrampicano alla ricerca del tratto di salita meno noto. Ma qualcosa non va. Perché se la natura (con la N maiuscola) è sempre imprevedibile, i Tortoise non ce la fanno a esserlo del tutto.
I pezzi di “The Catastrophist”, così, sono rielaborazione di una matassa musicale sostanzialmente già conosciuta. Certo, rimpastata e rielaborata ad arte, ma sempre figlia dello stesso laboratorio da cui è partito tutto. È forse l’annoso problema del post rock? Può darsi. Ma, davanti a questi pezzi, ahinoi, si sonnecchia. Nell’attesa di almeno un fulmine catastrofico (che, però, non arriva mai).
(2016, Thrill Jockey)
01 The Catastrophist
02 Ox Duke
03 Rock On
04 Gopher Island
05 Shake Hands With Danger
06 The Clearing Fills
07 Gesceap
08 Hot Coffee
09 Yonder Blue
10 Tesseract
11 At Odds With Logic
IN BREVE: 2,5/5