Una delle caratteristiche che porta il lavoro dei Tune-Yards un gradino sopra la media è l’eleganza nelle composizioni ritmiche e l’originalità con cui il progetto mescola i tratti somatici della tradizione africana con le sperimentazioni synth occidentali. Un vero e proprio ponte tra l’America e l’Africa come poche volte è successo in precedenza. Ma cosa succede quando il passo dal subire le influenze di una tradizione musicale che non ci appartiene, per appropriarsene, è breve? Come si fa a trattare garbatamente una tradizione che, di fatto, non ci appartiene?
Merril Garbus affronta la questione nel miglior modo possibile, partendo da ciò che le riesce meglio: affidandosi alla sua OP-1, una tastierina dal peso di 590 grammi contenente un registratore a quattro tracce, un campionatore, una drum machine e un sequencer, per far scivolare ritmi complessi, inaspettati e sincopati. Tolte un paio di eccezioni (Coast To Coast, bassi distorti, tracce di ukulele, cori che rispecchiano la linea melodica e ABC 123, propulsioni house e voce gioiosa) incentrate su temi naturalistici e preoccupazioni climatiche, l’album è interamente assorbito dalle insostenibili disparità di trattamento tra le razze.
Uno degli elementi che, però, rende dinamico il dialogo tra l’ascoltatore e i due artisti è la chiave di lettura che utilizza la Garbus all’interno dei suoi testi per affrontare la questione: si passa da Now As Then, in cui accosta il campionamento di un nastro somalo alla colonizzazione sonora, a Private Life che cita espressamente la collaborazione Paul Simon/Ladysmith Black Mambazo, uno dei progetti migliori di world music che scatenò critiche tanto feroci quanto ipocrite, soprattutto provenienti da gran parte dei colleghi musicisti benpensanti.
Oltre i contenuti, le riflessioni e le proteste, convive, all’interno dell’album, una meticolosità fuori dall’ordinario per le ritmiche, in cui le parole sono esse stesse cadenze perfettamente incastrate nei suoni: i fraseggi di Heart Attack (“It’s giving me a heart attack-ack-ack”) e Look At Your Hands (“He got the-got, got, got, got, got”) si fondono perfettamente con la sezione ritmica. “I Can Feel You Creep Into My Private Life”, oltre a essere un ottimo esempio di sfida continua tra basso e percussioni, mette in atto i migliori insegnamenti di cui si è cibata famelicamente la Garbus durante tutto il suo percorso, dal reggae al funk, dal soul alla world music, giocando con una voce potente e una strumentazione complessa senza mai essere scontata.
A eccezione di un paio di tracce cui tutto sommato si potrebbe anche rinunciare (Home, Who Are You), i Tune-Yards si riconfermano perfettamente in grado di mantenere un livello altissimo nella loro produzione sonora e lirica, complessa ed emotivamente carica.
(2018, 4AD)
01 Heart Attack
02 Coast To Coast
03 ABC 123
04 Now As Then
05 Honesty
06 Colonizer
07 Look At Your Hands
08 Home
09 Hammer
10 Who Are You
11 Private Life
12 Free
IN BREVE: 3,5/5