Smarcarsi. L’identità musicale in una band è sacrosanta, per alcuni diviene addirittura una vera e propria trappola dalla quale dipendere, quando si azzecca il disco giusto, per altri non si concretizza mai in qualcosa di realmente distinguibile dai colleghi confinanti. È passato all’incirca un anno e mezzo dall’esordio dei londinesi TV Priest capitanati da Charlie Drinkwater e il loro “Uppers” (2021)aveva convinto a metà: la materia prima c’era, pezzi interessanti da sentire live pure (era l’occasione a mancare in quel caso, ma son dettagli), ma il panorama post-punk al quale i nostri si sono accostati (o si sono fatti accostare) è in piena esplosione creativa e ritagliarsi un posto al sole è tutto fuorché facile.
My Other People presenta delle differenze rispetto al debut, dallo sprechgesang ancor più accentuato e presente, con passaggi strumentali sensibilmente ridotti, ad influenze nuove e inaspettate in direzione folk nel carnet sonoro. “I need to sleep / So very, very deeply” recitano i primi versi della meccanica One Easy Thing, e purtroppo anche dal punto di vista di chi ascolta il disco questo desiderio si manifesterà senz’altro in seguito e a più riprese; a sorprendere è il doppio finale di Bury Me In My Shoes, caratterizzato da una breve sequenza di archi, che si incastra al basso in apertura alla sommessa e minimale Limehouse Cut, la quale prende in prestito qualcosa in zona post-rock, si vedano gli esordienti Caroline, mantenendo tuttavia l’anima punk.
Brani come I Have Learnt Nothing, The Breakers o I Am Safe Here non hanno una grande capacità distintiva su disco, sebbene pongano in risalto una padronanza perfetta in materia di percussioni e guitar riff da parte del gruppo. A fungere da spartiacque con la seconda metà dell’album è l’acustica lo-fi della più breve The Happiest Place On Earth, per poi gettarsi sulla chitarra elettrica che si dimena sullo sfondo di My Other People, uno dei pezzi migliori insieme alla dinamica It Was Beautiful. Destano dal torpore le distorsioni taglienti come un rasoio di Unravelling, ingaggiando una corsa verso la fine sulle note di It Was A Gift, e scegliendo di chiudere con Sunland, con la quale la band scomoda (da lontano) pure Johnny Cash.
I TV Priest cedono un po’ delle energiche derive post-hc degli esordi in favore di influenze folk d’avanguardia da inserire qua e là, il che potrebbe essere una carta vincente, in termini “identitari”, alleggerendo le atmosfere in qualche caso e mantenendo i ritmi più vivaci, ma non riescono a smarcarsi totalmente, restando relegati a “mezzi emuli di…”. “My Other People” sarebbe valido dal punto di vista strumentale e conterrebbe buone idee, ma alla lunga risulta leggermente pesante, oltre che privo di quel quid decisivo, in grado di distinguere l’opera in questione dall’interminabile lista di novità etichettate come “post-punk” e aree musicali limitrofe che dir si vogliano.
(2022, Sub Pop)
01 One Easy Thing
02 Bury Me In My Shoes
03 Limehouse Cut
04 I Have Learnt Nothing
05 It Was Beautiful
06 The Happiest Place On Earth
07 My Other People
08 The Breakers
09 Unravelling
10 It Was A Gift
11 I Am Safe Here
12 Sunland
IN BREVE: 2,5/5