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Ty Segall & White Fence – Joy

Ty Segall e Tim Presley aka White Fence pubblicano un nuovo disco assieme sei anni dopo “Hair” (2012) e dopo che entrambi hanno nel corso di questi anni dato un imprinting radicalmente diverso alla propria storia musicale. La carriera del ragazzo d’oro della garage psichedelia del nuovo millennio continua a volare: il suo ultimo LP (“Freedom’s Goblin”, 2018) è un disco completo che coniuga la sua naturale istintività a un songwriting e una composizione matura, segno della definitiva consacrazione di un musicista che, piaccia oppure no, ha segnato come nessuno gli ultimi anni della musica alternative made in USA. Tim Presley, al contrario, si è disimpegnato in diversi progetti, con risultati alterni. L’ultima pubblicazione con il moniker DRINKS è una collaborazione con Cate Le Bon, registrato nel Sud della Francia e dai contenuti allegorici e sperimentali, ma oggettivamente un disco poco convincente in cui nessuno dei due è apparso effettivamente a proprio agio.

Data la situazione rappresentata, Joy è una vera e propria rimpatriata tra due vecchi amici, l’occasione per entrambi per una sorta di ideale ritorno a casa, per dedicarsi con quella tipica maniera disimpegnata nella realizzazione di un disco composto da quindici composizioni di garage rock psichedelia di carattere fulmineo e senza nessuna particolare pretesa artistica al di là di quello che è puro intrattenimento per se stessi come per gli ascoltatori. Va precisato, comunque, che questo non significa sminuire i contenuti di un disco sicuramente piacevolissimo, dove non mancano spunti interessanti in particolare nella ripetuta ispirazione e devozione alla psichedelia anni sessanta di Syd Barrett.

L’accostamento potrebbe apparire irriverente, ma in fondo è proprio la vera natura di Syd quella cui entrambi si richiamano. Del resto Ty Segall in primo luogo è legato a Barrett da una specie di dicotomia: il ragazzo vive sul pezzo, non ha paura di dare forma a tutto quello che gli passa per la testa e da questo punto di vista riesce dove Syd Barrett forse è venuto meno, senza riuscire in un compromesso tra se stesso e la musica che avrebbe voluto realizzare. Queste sono solo supposizioni ovviamente, ma in questo disco sono ancora richiamati tanto Syd Barrett (Beginning, Good Boy) quanto Marc Bolan (Please Don’t Leave This Town), Kurt Cobain (Room Connector, Other Way, Prettiest Dog), Daniel Johnston (Rock Flute, Tommy’s Place) oppure Jad Fair (Hey Joel, Where You Going With That?), e nessuno dei due protagonisti ci appare spaventato da questi accostamenti.

Francamente dubitiamo gli importi granché, anzi crediamo proprio gli importi poco o nulla di essere nel caso irriverenti. Per fortuna. E anche questo fa di loro, primariamente di Ty Segall, simboli di una generazione che come tutte le altre precedenti è chiamata a distaccarsi dai propri miti e essere semplicemente se stessa.

(2018, Drag City)

01 Beginning
02 Please Don’t Leave This Town
03 Room Connector
04 Body Behavior
05 Good Boy
06 Hey Joel, Where You Going With That?
07 Rock Flute
08 A Nod
09 Grin Without Smile
10 Other Way
11 Prettiest Dog
12 Do Your Hair
13 She is Gold
14 Tommy’s Place
15 My Friend

IN BREVE: 3/5

Sono nato nel 1984. Internazionalista, socialista, democratico, sostenitore dei diritti civili. Ho una particolare devozione per Anton Newcombe e i Brian Jonestown Massacre. Scrivo, ho un mio progetto musicale e prima o poi finirò qualche cosa da lasciare ai posteri. Amo la fantascienza e la storia dell'evoluzione del genere umano. Tifo Inter.

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