La delusione nei confronti di qualcosa è direttamente proporzionale alle aspettative che si nutrono nei suoi confronti: se si pensa al singolo di debutto di Songs Of Experience, questa è la chiave di lettura con cui è opportuno ascoltare l’album, fratello adulto di “Songs Of Innocence” del 2014.
Di quest’album si è iniziato a parlare quasi contemporaneamente all’uscita del precedente, con un tour promozionale che sommava i nomi di entrambi gli album. Le uscite a sgoccioli di varie tracce (The Blackout, assolutamente identica a “Zoo Station”, You’re The Best Thing About Me, Get Out Of You Way, American Soul), l’esecuzione live di altre (The Little Things That You Gave Away suonata durante la prima delle due date romane della scorsa tournée), non hanno lasciato intendere che ci si dovesse preparare a chissà quale aria di novità.
Iniziamo con il dire che “Songs Of Experience” non appare deludente quanto You’re The Best Thing About Me che ne ha anticipato l’uscita. Nonostante questo, è pur vero che non esiste, all’interno dell’album, un pezzo che riesca a salpare dalle melodie catchy e dai ritmi rassicuranti; sono troppe le volte in cui si ha la sensazione di ascoltare “canzonette pop” e non dovrebbe succedere ascoltando l’album di una band monumentale con trent’anni di carriera alle spalle.
Non è un album rock, ma più un lavoro pop realizzato appositamente per raggiungere quanto più pubblico possibile; l’utilizzo di stratagemmi elettronici non restituiscono alcun senso di sperimentazione o di maturità, nonostante il filo conduttore del disco sia un dialogo costante di Bono con le persone che riempiono affettivamente la sua vita: sua moglie, i suoi figli, il suo pubblico. In Love Is All We All Left l’utilizzo del vocoder è paragonabile a una doccia fredda e fa rimpiangere le manipolazioni di Brian Eno su “A Different Kind Of Blue” al tempo dei Passengers.
“Blessed are the arrogant / For there is the kingdom of their own company / Blessed are the superstars / For the magnificence in their light”: l’ironia indispettita di Kendric Lamar (qui l’uso del vocoder ha tutto un altro impatto) segna il confine tra Get Out Of You Way e American Soul e ricorda per un attimo il passaggio da “With Or Without” a “Bullet The Blue Sky”, ma finisce per perdersi nella ripetitività della seconda (per inciso, se, a un certo punto, avrete l’impressione di averla già ascoltata da qualche parte, non starete sognando: è un chiaro prolungamento della meno accattivante “Volcano” da “Songs Of Innocnence”).
Questi quattro meravigliosi irlandesi, che hanno conquistato il mondo con una voce ancora acerba, le linee di basso essenziali, una batteria secca e un delay, sono persi da anni in mezzo alla giungla dei produttori più blasonati (Jacknife Lee e Ryan Tedder, con Steve Lillywhite, Andy Barlow e Jolyon Thomas), con la conseguenza che “Songs Of Experience” offre molti spunti ma dà una costante sensazione di fiato sospeso in attesa di arrivare al punto: così, ad esempio Lights Of Home, Summer Of Love (stupenda, se fosse rientrata nella scuderia di Ed Sheeran), The Little Things That You Gave Away (con resa live pari a zero), camminano bene senza partire mai.
Red Flag Day e The Showman con i loro riff, veloci e accattivanti, sono due tracce potenzialmente appetibili ma condividono la stessa sorte: alla lunga risultano insipide e fin troppo ripetitive. Il pezzo di chiusura, 13 (There Is A Light), è l’unico che funziona davvero: delicato ed essenziale dall’inizio alla fine, suona come avrebbe dovuto fare “Song For Someone”. La versione deluxe contiene anche Book Of Your Heart, traccia che nulla aggiunge e nulla toglie.
Attenzione a non fraintendere: “Songs Of Experience” non è un album brutto ma è anche fin troppo curato, vestito di quei cori che ricordano sempre più i Coldplay e meno gli U2 e di quell’abito pop avanguardistico con mezzo piede buttato, non troppo a caso, nel passato. È un album normale, non è né si né no. E per un gruppo che, in un modo o l’altro, ha fatto scuola all’interno di un mercato musicale in cui a giocare c’erano anche The Police, Dire Straits, R.E.M. o Aerosmith, definire ordinario un album è davvero poca cosa.
Ci si chiede perché un tour celebrativo di “The Joshua Tree” coinvolga folle oceaniche di pubblico e crei un’atmosfera live indescrivibile e dal forte senso di appartenenza a una band. Perché un album come quello rimane autentico, credibile e intenso nonostante il trascorrere degli anni. Pensare di celebrare “Songs Of Experience” non sarebbe verosimile, non fosse altro che perché non ci si può aspettare una quantità industriale di album monumentali da parte di una sola band.
“Gli U2 sono l’unico gruppo di cui il pubblico ricorda a memoria i nomi di tutti e quattro i componenti”, diceva Bruce Springsteen durante l’induction dei quattro nella Rock And Roll Hall Of Fame. Ecco: con il passare del tempo, ricordarsi di “Songs Of Experience”, esattamente come si citano a memoria i nomi di tutti membri degli U2, probabilmente sarà una vera sfida.
(2017, Island)
01 Love Is All We Have Left
02 Lights Of Home
03 You’re The Best Thing About Me
04 Get Out Of Your Own Way
05 American Soul
06 Summer Of Love
07 Red Flag Day
08 The Showman (Little More Better)
09 The Little Things That Give You Away
10 Landlady
11 The Blackout
12 Love Is Bigger Than Anything in Its Way
13 13 (There is a Light)
14 Ordinary Love (Extraordinary Mix)
15 Book Of Your Heart
16 Lights Of Home (St Peter’s String Version)
17 You’re The Best Thing About Me (U2 Vs. Kygo)
IN BREVE: 2,5/5