C’è un suono corposo nel nuovo disco degli Ulan Bator. È una specie di brusio malefico e irresistibile che ronza attraverso l’attrito di bassi e cori cattivi. È il sortilegio rock di Abracadabra: un disco dalla scura brillantezza… e non è un ossimoro. Più come una magia nera. È l’ennesima reincarnazione del fou Amaury Cambuzat, l’ennesima prova che per lui la musica è una reale forma di gorgo artistico che sputa fuori sentimenti, catastrofi, voglia, idee. E suoni nuovi.
Sì, nel nono disco in studio del progetto francese ci sono suoni nuovi, identificabili come ombre diverse dal passato. È come se in questo nuovo albo Amaury abbia ingollato una pozione horror, un siero che striscia nelle vene e che secerne fuori attraverso brani dall’estetica (quasi) pop e dall’etica profondamente rock.
Il Chaos c’è, per carità, ma l’attenzione è per la parte più ammiccante della luna. Vedi una ballata come Ether, vedi Radiant Utopia che tutti vorremmo ai piedi del nostro film preferito. Dunque in “Abracadabra” c’è un aspetto che svetta su tutti: il cuore. È quello, certo, che campeggia sulla copertina servito a noi ascoltatori, ma anche, meno concettualmente, quello di canzoni che sono innanzi tutto canzoni. Non prove di forza, non laboratorio, non animalesche reazioni al panico e allo shock, ma canzoni. Con un loro nocciolo, una loro forma. Una loro storia. Talmente universali, da resistere al risucchio del caos. Senza mai rinnegarne la complessità.
Ora manca solo un tassello per far sì che questo sia un anno perfetto per gli Ulan Bator. Un tassello che porta un nome e un cognome, ma di cui per ragioni di opportunità riportiamo solo le iniziali OM. Ma sappiamo che è difficile, a meno di uno strano gioco di prestigio.
(2016, Acid Cobra / Overdrive)
01 Chaos
02 Longues Distances
03 Coeurrida
04 Ether
05 Saint Mars
06 Evra Kedebra
07 Holy Wood
08 Radiant Utopia
09 Golden Down
10 Protection
IN BREVE: 4/5