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Vein – Errorzone

Non si può nascondere che sia un periodo particolarmente fruttifero per l’hardcore metal. Un genere così ancorato ai dogmi primordiali ma che per attitudine e grinta fa fatica a invecchiare e continua a promuovere nuova musica e fresche realtà da scoprire anno su anno.

Il 2017 è stato il corso dei Code Orange. Oltre alla candidatura ai Grammy Awards (meritata, per quanto possa valere), il quintetto statunitense ha stupito per la semplicità con la quale ha tentato nuove soluzioni nel marasma di violenza tipica del ‘core più giovane e arrabbiato, pareggiando almeno a livello di qualità discografica quella bomba che è stata “The Dusk In Us” dei sempiterni Converge. Questo 2018 sarà, non con la stessa visibilità mediatica, tempo per apprezzare un altro act di livello alle prese con il proprio album di debutto. I Vein, nuovi rappresentanti della scena bostoniana nonostante ormai il lustro di attività, esprimono tutta un’altra concezione di hardcore rispetto ai colleghi della Pennsylvania, e lo fanno con una genuinità e leggerezza tale da meritare le attenzioni che i talent scout del mondo heavy stanno riservando loro nelle ultime settimane.

L’irruenza di Errorzone è devastante sin dalla opener Virus://Vibrance e il gioco di campionature iniziale aggiunge pepe a una traccia che comunque rimane abbastanza canonica. Le prime sei canzoni, brevi, di impatto e violente, sono un disco fatto e finito: l’opprimente Old Data In A Dead Machine (che bomba!), la brutale Broken Glass Complexion e i downtempo di Demise Automation suonano come materiale a sé, da qualche parte tra i suoni ultra-metallici dei Fear Factory e una foga controllata (non c’è un attimo di tregua) tipica del grind più ritmato.

Ma è da Doomtech in poi che i Vein stravolgono il loro approccio al mondo ‘core con l’inserimento di elementi nu e alt-metal, a partire da alcune linee vocali forzatamente melodiche e in pieno contrasto con lo screaming insensato di Anthony DiDo. L’accostamento a gente come Korn e Deftones di pezzi come la title track Errorzone non è azzardato, e pare a sprazzi che un album come “Digimortal” (si perdoni la continua citazione) abbia trovato il degno erede tra le linee di questo “Errorzone”, prima che la conclusiva Quitting Infinity ci sconvolga definitivamente portandoci su sentieri accomunabili al death metal più contaminato.

La cosa fondamentale rimane la facilità d’ascolto di un lavoro che è violenza pura; un disco senza molti fronzoli ma che contiene soluzioni per nulla banali e accostamenti riusciti frutto per lo più di un urto compositivo poco ragionato ma di eguale efficace. I Vein centrano il debutto e fortunatamente il futuro del genere non pare così roseo da almeno una decina d’anni.

(2018, Closed Casket Activities)

01 Virus://Vibrance
02 Old Data In A Dead Machine
03 Rebirth Protocol
04 Broken Glass Complexion
05 Anesthesia
06 Demise Automation
07 Doomtech
08 Untitled
09 End Eternal
10 Errorzone
11 Quitting Infinity

IN BREVE: 4/5

Michele Brusa
Da sempre convinto che sia il metallo fuso a scorrere nelle sue vene, vive la sua esistenza tra ufficio, videogames, motociclette e occhiali da sole. Piemontese convinto, ama la sua barba più di se stesso. Motto: la vita è troppo breve per ascoltare brutta musica.