Sarebbe abbastanza semplice non prendere sul serio una band con un nome apparentemente in tributo al più famoso prodotto della Pfizer, venuta alla ribalta per un singolo (“Sports”, del 2018) nel quale il cantante Sebastian Murphy urla nomi di sport su una base musicale fatta di musica… boh? Punk? Post punk? Rock’n’roll? La cosa più semplice (e, si sa, se c’è qualcosa che ci aggrada a noi con penna e calamaio sono le cose semplici o semplificabili) è parlarne come una versione ironica degli Idles, e buonanotte ai suonatori. Tanto poi questi svedesi fanno cose stravaganti e mettono sempre riferimenti non molto comprensibili ai gamberetti o ai cani, vuoi che non siano una band che fa musica per ridere?
Ma Murphy, Benke Höckert e soci non sembrano particolarmente intenti a far ridere. A divertirsi, certo: forse una cosa che i segaioli con penna e calamaio hanno dimenticato da lungo tempo è che a fare la musica che ami, con la gente che ami, il risultato principale è che ci si diverte da dio. E se gli argomenti, estremamente seri e rilevanti negli anni ’20 che stiamo vivendo, vengono posti in maniera originale e intelligente e ironica, beh, di certo non vuol dire che l’intento di questa band sia umoristico.
Svedesi, quindi influenzati in patria dalla crescita esponenziale dell’estrema destra e dalla necessità di essere quanto di più lontano da essa, i Viagra Boys (il cui nome è una presa in giro del “ruolo fallimentare dell’uomo nella società moderna”) sono una band che difficilmente può aderire a degli schemi musicali, come vorrebbe la alquanto rigida scena punk in madrepatria (contraltare di quella black metal, politicamente e musicalmente).
Punk? Certamente. Ma nel senso più vero di ciò che la parola significa, cioè fare il cazzo che gli pare. E in Welfare Jazz ci riescono ancor più che nell’esordio “Street Worms” (2018), lasciando senza parole chi li aveva incanalati in un certo ambito o in una presunta “scena”, passando da quello che sicuramente si potrebbe riconoscere come punk o simile – la spettacolare I Ain’t Nice, eccellente autocritica autobiografica del frontman – a una meravigliosa cover della leggenda del country John Prine, morto a causa del COVID-19 lo scorso Aprile (In Spite Of Ourselves, in duetto con Amy Taylor).
Murphy è un frontman superlativo, come non se ne vedevano da anni, capace di passare dalla furia danzereccia di Girls & Boys a una convincente parodia di Elvis/Nick Cave (Toad), ma ciò non significa che i suoi sodali siano da meno: musicalmente eclettici, le loro strutture sembrano sostenersi principalmente sulle linee di basso di Höckert, ma la batteria di Tor Sjödén, batterista jazz che qui non si lascia prendere dallo swing, riveste un ruolo non di minore importanza; su questa struttura si innestano un sintetizzatore (Martin Ehrencrona) a volte fondamentale, come nella strepitosa Creatures che è un pezzo pop nel miglior senso possibile, e le pennellate date dal sassofono di Oskar Carls e dalla chitarra di Benjamin Vallè.
“Welfare Jazz” è un album che dimostra un’evoluzione notevole dall’esordio, una sicurezza di mezzi e una qualità nella scrittura degne dell’Olimpo, una difficoltà nella categorizzazione che in questo nuovo millennio è solo un sintomo positivo del sapere ciò che si sta facendo (e che ricorda l’anarchia di Sandman e i suoi Morphine, gruppo mai celebrato a sufficienza e ingiustamente relegato al dimenticatoio). Non bastasse tutto ciò, i Viagra Boys sono riusciti a ridare centralità al video musicale, morto con MTV, proponendo lavori spettacolari: su tutti, I Ain’t Nice, una “Bittersweet Symphony” per il nuovo millennio, dove Murphy, magnetico quanto Richard Ashcroft, semina scompiglio in paese. E se le due “Shrimp Sessions” pubblicate sul loro canale YouTube sono una qualche indicazione, quando tutto il bordello della pandemia sarà finito c’è una band che dovrete correre a vedere.
(2021, YEAR0001)
01 Ain’t Nice
02 Cold Play
03 Toad
04 This Old Dog
05 Into The Sun
06 Creatures
07 6 Shooter
08 Best In Show II
09 Secret Canine Agent
10 I Feel Alive
11 Girls & Boys
12 To The Country
13 In Spite Of Ourselves
IN BREVE: 4,5/5