Il livello qualitativo che ci si aspetta da Vince Staples è ormai alto, il ventiquattrenne di Long Beach (“The city where the skinny carry strong heat”) sia nell’EP “Hell Can Wait” che nel debutto “Summertime ‘06” aveva mostrato la sua predilezione per il rappare su basi elettroniche, house, tipiche dei club di Detroit, trasferendo le indubbie capacità nel freestyle su suoni distanti dalla vecchia scuola. Tutto ciò vale anche per l’ultimo “Prima Donna”, che però si distaccava leggermente dai sopra citati per la costante dark e macabra mantenuta in tutto il lavoro.
Dove “Summertime ’06” aveva osato, Big Fish Theory si spinge ancora oltre in tutto ciò che può risultare non convenzionale, diventandone la naturale prosecuzione. Abbiamo in tutto 10 Club Bangers (escludendo i due interlude), ma questo termine così generico non ha la stessa valenza di quando si definisce Club Bangers qualche hit di DJ Khaled, DJ Mustard o Boi-1da. Vince ha saputo incorporare EDM e IDM avvalendosi di variegate produzioni: Justin Vernon è il primo e apre l’album con Crabs In A Bucket. Vince riunisce con sé tre artisti che non ci si aspetterebbe mai di vedere insieme: Kilo Kish (fedele in ogni album e compagna di tour), Damon Albarn e Ray J, facendo diventare Love Can Be uno degli esperimenti più riusciti di tutto l’album.
La glitchy Yeah Right ha il potere di incorporare in soli tre minuti quelle che potrebbero essere tre canzoni differenti, intervallate dalla base di SOPHIE, l’eterea voce di Kucka ancora una volta con Flume, e la strofa di Kendrick Lamar. Non a caso Lamar lo accompagna, si parla con ironia degli stereotipi in cui i rapper devono per forza rientrare, per essere accettati nella comunità. Sia Vince che Kendrick sono con orgoglio rapper che potrebbero essere considerati “weirdo”, entrambi poco propensi a seguire uno stile di vita fatto di apparenze. Staples ha più volte ammesso di essere sempre stato un nerd, non aver mai bevuto o fatto uso di droghe, entrambi ad ogni modo lontano da quella vita fatta di denti d’oro (grillz) e strip club.
Amy Winehouse rivive nel monologo di Alyssa Interlude, in un estratto dell’intervista dal documentario “Amy” in cui Staples era rimasto particolarmente colpito per la fragilità della cantante. Tra i brani si nasconde nuovamente Ramona Park, parco di Long Beach molto caro a Vince. Dopo la bounce 745, a seguire le basi techno di Homage, Party People e l’anticipata BagBaK.
Negli anni abbiamo imparato a conoscere Vince Staples, oltre che con la musica anche attraverso le sue affermazioni provocatorie e ironiche in varie interviste e rubriche presentate. Ha dimostrato di avere molta sicurezza in se stesso e più coraggio rispetto alla media dei rapper coetanei, tanto da potersi permettere di non dover sottostare per forza alle regole. Ancora una volta, Staples qui va per la sua strada, senza curarsi di ciò che il pubblico potrebbe pensare e prendendosi il rischio di non piacere ai puristi dell’hip hop.
Come accadde per “Yeezus” di Kanye West che fu molto criticato quando uscì nel 2013, “Big Fish Theory” ha lo stesso potenziale di album avanguardistico che può fare da spartiacque tra due ere. Probabilmente avrà anche la stessa sorte di vedersi riconosciuto tale merito, di aver dato una flessione definitiva, solo a distanza di anni. Ciò che è ormai appurato è come Staples sia tra i rapper più coerenti e futuristici di questa generazione.
(2017, Def Jam)
01 Crabs In A Bucket
02 Big Fish
03 Alyssa Interlude
04 Love Can Be…
05 745
06 Ramona Park Is Yankee Stadium
07 Yeah Right
08 Homage
09 SAMO
10 Party People
11 BagBak
12 Rain Come Down
IN BREVE: 4,5/5