Lavoravano in un club francese e decidono di metter su una band, prendono il nome da una reclame scritta su un muro poco lì fuori e fondano i Wall Of Death. Loveland è il loro nuovo album, un bel viaggio emozionale attraverso psichedelia, arie vintage, prog, rock e un multistrato di suoni che collegano l’ascolto a Tame Impala e molto ancora a lontani Pink Floyd vanesi. Una piccola esperienza dalla quale pure acute derive hard rock (Chainless Man) e bagliori dreaming (Blow The Cloud, che ricorda certi Cocteau Twins) fanno cucù e si distinguono da tutto il resto.
Il trio parigino mette in mostra una stilistica retrò che tutto sommato non dispiace, una quantità di note e vibrazioni che postano il passato come fonte ispiratrice, che riportano a galla certe visioni che oramai fanno parte e immagine di un infinito Olimpo di ricordi, ma se ne fregano e ci fanno nuotare in un amniotico sound generale che riconosce, eccome, gli alti stati della musica eterna, tanto da trasportarne – come un’eredità incontestabile – anche la minima mira, traiettoria o qualsivoglia estasi.
Dieci brani che nelle nuvole barrettiane di Mother Tongue, tra gli echi visionari di All Mighty, dietro la languidezza ipnotica di Little Joe e nel risveglio di una coscienza instabile stile Blue Oyster Cult di How Many Kinds, vogliono testimoniare come i Wall OF Death più che avere la erre moscia, hanno carattere per andare ancora più in là di dove credono di essere.
(2016, Innovative Leisure)
01 Loveland
02 For A Lover
03 Mother Tongue
04 How Many Kinds
05 Blow The Cloud
06 Dreamland
07 All Mighty
08 Little Joe
09 Chainless Man
10 Memory Pt. 1 & 2
IN BREVE: 3/5