La scrittura di Jeff Tweedy la riconosci lontana un miglio: riluttante alla complessità gratuita, snella, ironica, talvolta criptica, protendente verso quella americanità da “grande romanzo” tanto agognata. Questo lirismo intimista, così preponderante nei suoi lavori solisti, si confronta, da quasi cinque lustri, con le trame armoniche erette insieme ai suoi Wilco, avendo come risultato la realizzazione di diapositive sonore di rara bellezza.
I Wilco, dal ‘94 ad oggi, hanno visto succedersi diversi componenti – degno di nota è sempre il passaggio di Jim O’Rourke in veste di produttore e musicista in “Yankee Hotel Foxtrot” (2002) e “A Ghost Is Born” (2004) – trovando un equilibrio di formazione soltanto da “Sky Blue Sky” (2007) in poi con l’ingresso, tra l’altro, del chitarrista Nels Cline e del polistrumentista Pat Sansone.
La ricerca sistematica di un sound essenziale ma sofisticato nei dettagli, con l’intento di lasciare un’impronta riconoscibile nell’universo dell’alt-folk-rock americano, è il motivo guida del decennio aureo (2000-2010) dei Wilco. Varcata la soglia degli anni dieci, immutata è rimasta la loro indole artigiana nel saper realizzare dischi di pregevole fattura sonora. Tuttavia, a essersi affievolita è stata l’incidenza della loro cifra stilistica nell’agire comunicativo dei brani. Questo, però, fino a Ode To Joy.
Registrato a Gennaio di quest’anno nel loro quartier generale di Chicago, il Loft, l’undicesimo disco in studio dei Wilco è il loro miglior lavoro da un po’ di tempo a questa parte. Tweedy e Tom Schick ne hanno curato la produzione, rinnovando il sodalizio artistico in cabina di regia, già avutosi negli ultimi tre dischi della band dell’Illinois. Ed è proprio “cura” la parola d’ordine di questa “Ode”: l’accortezza nella scelta di valorizzare determinati suoni ha in sé il merito di allontanare i fantasmi dell’immediatezza. Questa, intesa come il testardo tentativo di inseguire facili sovrastrutture pop, fa a cazzotti con la ricercata marca sonora dei Wilco.
Jeff Tweedy è in forma e lo si scorge fin dalle prime battute: “I don’t like / The way you’re treating me / Warm, winter rain / I found my keys / Under the snow”, sono i versi che aprono Bright Leaves. Parole che si tramutano in immagini vivide, accompagnate da una ritmica decisa ma non ingombrante e da un riverbero rarefatto ricamato da arpeggi, distorsioni e dissonanze di piano. La narrazione di un bisogno di quotidianità è al centro di One And A Half Stars, in cui il verso “I can’t escape my domain” ha, nell’economia del pezzo, una forte connotazione politica tenuto conto di essere in un momento storico dove tutto ci sembra scappare di mano.
La febbrilità e la vivacità della mescolanza dei suoni di Quiet Amplifier ci mostrano i Wilco più sperimentali, mentre Everyone Hides è un brano vivace dalla sottile vena ironica di fondo, come testimoniato anche dal divertente video girato per il pezzo. Lo stile scrittorio di Tweedy raggiunge vette assolute di cripticità in Citizens (“Pine box / Stop the clocks / Why can’t both be true? / High times / High crimes / Medals for you to salute”) in cui i versi aforistici accompagnano la ripetitività di un ritornello infarcito di risonanze beatlesiane.
Echi younghiani sono ben lampanti in We Were Lucky, dove la chitarra di Nels Cline, sorretta dal battito marziale del rullante di Glenn Kotche, esplode in irrequieti assoli distorti. Love Is Everywhere (Beware) ha un iconico riff di chitarra che connota il pezzo in maniera argentina. L’avvertimento di Tweedy è quello di prestare attenzione all’amore, di porlo al centro del proprio agire quale rimedio salvifico nei confronti della paura dilagante.
“Ode To Joy” è un preghiera pagana che inneggia alla normalità, la risposta pacata a trumpismi e derivati, che sposta l’attenzione sul particolare, sull’ingranaggio sonoro, consegnandoci, proprio alla fine del decennio, una band in stato di grazia.
(2019, dBpm)
01 Bright Leaves
02 Before Us
03 One And A Half Stars
04 Quiet Amplifier
05 Everyone Hides
06 White Wooden Cross
07 Citizens
08 We Were Lucky
09 Love Is Everywhere (Beware)
10 Hold Me Anyway
11 An Empty Corner
IN BREVE: 4/5