Se sia ancora possibile produrre heavy metal di qualità nel 2017, proponendo qualcosa di nuovo, intrigante e che non strizzi troppo l’occhio agli ’80 è un interrogativo che potrebbe creare discussioni di proporzioni epiche, senza mai realmente partorire conclusioni univoche. Ma per i Witherfall, combo americano alla prima uscita discografica, la risposta è decisamente sì.
La band non è formata da nomi altisonanti in cerca di nuove esperienze sonore, né da ragazzi privi di esperienza che si lanciano carichi di entusiasmo, bensì da ordinari mestieranti che finora di successo ne hanno raccolto poco con le loro esperienze passate e di conseguenza hanno fame, determinazione e voglia di mostrare le proprie qualità.
Joseph Michael, conosciuto più che altro per aver cantato in un disco (discreto) dei White Wizzard ed essere cugino di sua maestà Ronnie James Dio, offre una prestazione vocale pazzesca sotto il lato qualitativo senza porre in secondo piano il fatto che in un lavoro di questa complessità anche l’interpretazione deve apportare elementi riconoscibili. L’estensione vocale è notevole e il timbro si adatta alla diverse sfaccettature che le composizioni richiedono alle vocals per poter reggere il confronto con il resto. I falsetti di King Diamond e Rob Halford sono una chiara influenza del suo cantato soprattutto in canzoni come Portrait e Sacrifice, ma una neanche tanto sottile attitudine ai vocalizzi power metal affiora in pezzi più heavy oriented come il singolo End Of Time.
La chitarra, sia ritmica che solista, è affidata a Jake Dreyer, pure lui ex White Wizzard e relativamente fresca ascia degli Iced Earth, mostra nella precisione di esecuzione quanto scuramente appreso da un maestro del ritmo come Schaffer. I riff, lungo tutto il lavoro, sono una vera e propria goduria per le orecchie. La matrice è chiaramente Nevermore, al punto tale che, ad un primo ascolto, la domanda se Jeff Loomis si sia staccato dagli Arch Enemy per tornare all’ovile è lecita. Sacrifice, decisamente il pezzo migliore di tutto il lavoro, ne è una dimostrazione lampante: tutto il repertorio del 25enne è messo in bella mostra in 9 minuti di un brano che cala di intensità solo nel finale. Killer riffing si intrecciano con assoli elettrici e acustici dando alla composizione la parvenza di una mini-suite che poco sfigurerebbe in lavori di un certo Arjen Lucassen.
La sezione ritmica, tenuta in piedi da Anthony Crawford al basso e dallo sfortunato Adam Sagan (venuto a mancare questo inverno per malattia) è di livello particolarmente elevato, potendo contare sull’esperienza dello stesso Sagan in un contesto come quello degli Into Eternity, che per lo meno garantisce un competenza tecnica notevole soprattutto quando si spinge sull’acceleratore.
Ma ciò che più rende Nocturnes And Requiems davvero un buon lavoro è l’amalgama degli stili espressi lungo tutti i 45 minuti. Heavy classico, power melodico e thrash moderno si incastrano perfettamente in canzoni da una lunghezza media consistente e dalla complessità compositiva ben percepibile. La speranza è ora che la scomparsa del povero drummer non metta già la parola fine ad una realtà neonata ma interessante. Le basi ci sono, con alcuni aggiustamenti (come ad esempio lo sviluppo di un sound più personale) si potrebbe forse trovare davvero la strada da percorrere verso il futuro del metallo melodico.
(2017, Autoprodotto)
01 Portrait
02 What We Are Dying For
03 Act II
04 Sacrifice
05 The Great Awakening
06 End Of Time
07 Finale
08 Nobody Sleeps Here…
IN BREVE: 4/5