A giudicare dalla copertina di questo Mosquito, quarto lavoro sulla lunga distanza a firma Yeah Yeah Yeahs, il trio newyorkese ha deciso di giocare un po’. Perchè finora gli artwork scelti dalla band erano stati tutti piuttosto artistoidi, di quella roba che nella Grande Mela va per la maggiore, a cavallo fra arte moderna e divertissement che si prendono paradossalmente sul serio. Poi, però, il contenuto andava in tutt’altra direzione: punk, post punk, garage tiratissimo e, più in generale, materiale decisamente scarno e ruvido, anche nel precedente “It’s Blitz!” in cui qualche punta d’elettronica era venuta fuori. “Mosquito”, invece, ha una copertina che sembra una di quelle locandine dei gruppi punk più grezzi degli anni ’90, con ‘sto zanzarone (il mosquito, per l’appunto) pronto a pungere sulla chiappa un malcapitato fanciullo. Il tutto in tinte fluo che sanno tanto cyberpunk.
Per contrapposizione, dunque, i brani della tracklist sono invece quanto di più ricercato mai messo in piedi da Karen O, Nick Zinner e Brian Chase, quantomeno nelle intenzioni. A parte Area 52, episodio in cui la ruvidezza garage del passato torna a farsi sentire, tutto ciò che di nuovo ci propongono gli Yeah Yeah Yeahs del 2013 sta dentro un’apprezzabile vena di sperimentazione. A cominciare già dalla traccia d’apertura, nonché singolo di lancio, Sacrilege: ci si sposta verso territori trip hop, con tanto di cori gospel nel finale che richiamano prepotentemente i Massive Attack. Sonorità, queste, che ritornano anche in Buried Alive (forte del rappato frutto della collaborazione con Dr. Octagon) e nella conclusiva Wedding Song, sebbene i paradigmi varino molto dall’uno all’altro brano.
Ancora, c’è il trittico in sequenza composto da Under Th Earth, Slave e These Paths, in cui l’uso dei synth porta gli Yeah Yeah Yeahs a spaziare dalla dance al pop da classifica, passando per un certo incedere dub che – bisogna ammetterlo – piace molto. E poi c’è la punta di diamante dell’album, ovvero Subway, l’episodio più cadenzato di “Mosquito” che mette in mostra al 100% le doti canore e interpretative della femme terrible Karen O (una che, non a caso, è stata voluta al proprio fianco da personaggi come Trent Reznor e David Lynch). Anche se tracce come la title track (che forse gigioneggia un po’ troppo) o Always appaiono un po’ sottotono rispetto al resto, “Mosquito” è un lavoro tutto sommato positivo che raccoglie al suo interno ciò che meglio riesce al trio newyorkese, aggiungendo quel pizzico di rischio compositivo che non guasta mai.
(2013, Interscope)
01 Sacrilege
02 Subway
03 Mosquito
04 Under The Earth
05 Slave
06 These Paths
07 Area 52
08 Buried Alive
09 Always
10 Despair
11 Wedding Song