Di Zeal & Ardor ne avevamo già parlato da queste parti in vista di una delle prime date del tour europeo, al Primavera Sound di Barcellona. Possiamo considerare questo strano progetto come una one man band partorita dalla mente dello svizzero-americano Manuel Gagneux, un musicista avant-garde nato a Basilea poco meno di trent’anni fa.
Nel 2012, Gagneux aveva chiesto agli utenti della piattaforma 4chan di nominare due generi musicali distanti fra loro, così da poterli combinare per creare un pezzo nel minor tempo possibile. Qualcuno propose il black metal, qualcun’altro provocatoriamente (Gagneux è di colore) scrisse “negro spirituals”, ovvero i canti religiosi degli schiavi afroamericani. Da gioco di internet, la questione s’è fatta seria e Zeal & Ardor è diventata la risposta sonora alla domanda “…e se gli schiavi in catene avessero rivolto i loro canti a Satana, come le band black metal nei boschi norvegesi, anziché a Dio?”.
Nel 2016 arriva su Bandcamp la prima pubblicazione di Gagneux sotto questo moniker, un mini album da venticinque minuti scritto-suonato-prodotto tutto da lui, “Devil Is Fine”, che inaspettatamente viene nominato come uno dei migliori dischi metal dell’anno da Rolling Stones, Loudwire e una miriade di webzine di settore. Il sound di quell’album era talmente originale e inedito da riuscire a catturare l’attenzione della comunità metal (e non) a livello mondiale, nonostante fosse ancora acerbo e si respirasse tra un brano e l’altro quell’aria da side project a tempo perso.
Ma ora le cose sono cambiate: è uscito Stranger Fruit, il primo vero album di Zeal & Ardor con musicisti al seguito e con un produttore in cabina di comando, Kurt Ballou dei Converge, e suona come un disco maturo e credibile. Le ispirazioni sono sempre le più disparate e spaziano da Tom Waits e Billie Holiday (a cui è stato “rubato” il titolo dal suo brano “Strange Fruit”) ai Darkthrone e Burzum, ma durante l’ascolto ci si gode i brani, senza limitarsi a dire “wow che mix strano di generi musicali” come se fossimo davanti a un Frankestein musicale creato per impressionare.
Gravedigger’s Chant, scelto come singolo, è il brano manifesto di questa maturazione, perché blues e gospel si mischiano alla botta heavy senza dover ricorrere a parti con scream e blastbeat (che non mancano nel resto del disco) buttati a caso durante la canzone. Insomma, riescono comunque a colpire duro con un’intensità meno spicciola ed estrema, e con una maggiore cura nella costruzione della forma canzone. Ship On Fire, con spaventosi cori in latino sopra il doppio pedale, e Row Row, intrisa di blues e atmosfere da Motown, sono le chicche dell’album, ma tutta la tracklist è costellata da grandi momenti sonori che testimoniano come la formula brevettata da Gagneux sia stata messa a punto.
Forse non sarà mai muscoloso quanto un vero disco metal, forse non sarà mai intenso e sentito come i veri spiritual del secolo scorso che ci hanno tramandato i bluesman, ma quella di Zeal & Ardor è una bella idea che s’è tramutata in un progetto capace di resistere alla prova più difficile per qualsiasi artista, soprattutto in quest’epoca bulimica e distratta: il secondo album.
(2018, MVKA)
01 Intro
02 Gravedigger’s Chant
03 Servants
04 Don’t You Dare
05 Fire Of Motion
06 The Hermit
07 Row Row
08 Ship On Fire
09 Waste
10 You Ain’t Coming Back
11 The Fool
12 We Can’t Be Found
13 Stranger Fruit
14 Solve
15 Coagula
16 Built On Ashes
IN BREVE: 3,5/5