Come tutte le esperienze non vissute in prima persona, anche le dinamiche che scaturivano dai media fino ai primi del 2000 non sono semplici da spiegare, soprattutto ai nati del nuovo millennio. A metà degli anni Novanta, ad esempio, per capire l’entità di un fenomeno spesso era sufficiente ascoltare le emittenti nazionali. Nel 1996, la diffusione massiva di Trash e Beautiful Ones dei Suede su Radio Deejay, orientata in quegli anni più sul pop e sulla dance che su tutto il resto, sancivano il reale passaggio oltre i confini del Regno Unito di Anderson e soci. L’Italia non era naturalmente un parametro di gradimento mondiale, ma il fatto che i Suede si fossero ritagliati un discreto minutaggio all’interno del palinsesto della più grossa emittente nazionale, a quel tempo, stava a indicare che era impossibile ignorarli, a dispetto del proverbiale ritardo tipicamente italiano nel recepire le novità di successo.
I Suede, naturalmente, non erano degli esordienti. Coming Up era il loro terzo album in studio e la sua gestazione era stata tutto fuorché scanzonata. Il legame personale e artistico tra Brett Anderson e Bernard Butler diventato quasi simbiotico, complice anche la fine della relazione tra Anderson e Justine Frischmann (musa, poi di Damon Albarn) li aveva portati a uno esordio senza precedenti, tanto che nell’aprile 1992 una cover di Melody Maker recitava: “Suede: the best new band in Britain”, toccandola non esattamente piano. Al netto della volubilità della stampa musicale inglese, i Suede vissero quel periodo come una sorta di età dell’oro che li portò tra le altre cose a vincere un “Brats Awards” (la risposta stronza di NME ai Brit Awards) ma che purtroppo si dissolse molto presto. Le tensioni tra Butler e il produttore Ed Buller, durante le session di “Dog Man Star” (1994), furono l’ultimo di una serie di problemi che condussero il chitarrista alla porta d’uscita dalla band.
Insomma, “Coming Up” non sembrava nascere sotto una buona stella: gli abusi di droghe e alcool di Anderson, l’assenza di Butler che dimezzava le doti compositive del gruppo e la sua sostituzione con l’allora diciassettenne Richard Oakes, deputato a imitarne spaventosamente bene lo stile esecutivo, rendevano molto incerto il futuro dei Suede. E invece “Coming Up” fu un successo; rectius: fu IL successo dei Suede, un’esplosione di riff metallici, ritornelli e melodie radiofoniche. Se gli album precedenti avevano delegato a Brett la cura del testo e a Butler la parte sonora, il processo creativo di “Coming Up” coinvolse tutti i membri della band, decisa ad arricchire il suo sound con l’aggiunta delle tastiere. Così, su segnalazione del batterista Simon Gilbert, si aggiunse il tastierista Neil Codling, dotato anche di una presenza scenica che gli assicurò un primo piano costante all’interno dei videoclip del gruppo. I suoi cinque singoli (Trash, Beautiful Ones, Saturday Night, Lazy, Filmstar) entrarono nella UK Single Charts proprio quando la guerra punica che coinvolgeva Blur e Oasis era al suo apice massimo.
“Coming Up” seppe viaggiare su un delicato equilibrio tra gioia e malinconia, un glam androgino percepibile anche senza le immagini che accompagnavano i videoclip dei cinque singoli. Trash, a tutt’oggi il singolo più venduto della band londinese, apre le porte di un mondo luccicante e alienato. Il nuovo universo di Brett Anderson e soci, un ensemble di strumenti enormi e scarni in cui archi, tastiere e i riff di Oakes scivolano lungo la voce glaciale Anderson, provocante nei toni e nelle intenzioni. Un mondo popolato da creature caramellate (Lazy), perfetti incastri tra due opposti (She e Beautiful Ones, capolavoro pop con uno dei ritornelli più malinconici del britpop), ballad sbiadite come By The Sea e Saturday Night.
Grazie al suo carattere seducente, esuberante e soprattutto accessibile a tutti, “Coming Up” rappresenta il picco commerciale per i Suede nonché il loro ultimo grande successo. “A quel punto della mia carriera, penso che il mio ego fosse, a dir poco, fiorente”, dichiarò Brett Anderson qualche anno dopo. “Coming Up” non era il volto reale di Anderson e soci ma un ultimo passepartout in grado di farli resistere al tempo, alle mode e alle memorie brevi.