Due anni e una rinascita. Tanti ne sono bastati ai Pavement per morire e rinascere. Siamo nel 1992, i Pavement degli esordi erano stati frammentari: canzoni ruvide, pezzettini di rock a basso costo ma ad alto voltaggio, un disco ingrugnito (“Slanted And Enchanted”), un arcipelago di EP e singoli. Una band tutta da bullonare, piena di componenti mobili. Un poster strappato da ricomporre. Un’instabilità che per la band di Stephen Malkmus pareva quasi un manifesto. Poi arriva un tour a cambiare le cose. È quello dei Sonic Youth a supporto di “Dirty”. I Pavement sono con loro, girano gli Stati Uniti e il mondo, respirano l’odore giusto che è quello dei palchi più belli. Ecco, quel tour con i Sonic Youth dice ai Pavement che è arrivato il momento della stabilità. Via il batterista-casinista Gary Young sostituito da Steve West, dentro il bassista Mark Ibold e quadrato attorno alla formazione che sarà definitiva fino alla fine dei giorni: Malkmus-Kannberg-Ibold-Nastanovich-West.
Ci siamo, è il 1994 e a quel punto il poster ricomposto si chiama Crooked Rain, Crooked Rain, il secondo disco della band californiana. Una pioggia sbilenca ma dissetante, melanconica ma fresca. I Pavement realizzano un disco finalmente “organico”, costruito, voluto e ne viene fuori qualcosa di seminale. Canzoni elastiche, saporite di rock generoso. Una luce deforme seppur luminosissima. Un tuffo dal trampolino del presente ma con slancio all’indietro. Perché, se cavalcate l’andamento di Silence Kit, ad esempio, vi ritroverete a scorgere gli anni Sessanta, ovvio meno puliti e, certo, più incrostati, ma con lo stesso senso di leggerezza furba. C’è anche Elevate Me Later a spruzzare nostalgia però senza malumori, al massimo qualche paranoia.
Lo scroscio inizia a cadere, obliquo, anche sui territori di Stop Breathin, canzone miracolosa perché fiorellino che germoglia dal terreno secco degli anni ‘90. È una filastrocca sinistra, “Breathin”, tra fumi di guerra e altre cose decisamente più frivole. Una cartolina tra il serio e il faceto con accordi sghembi e l’assolo di chitarra meno prepotente della storia del rock americano. Ed è questa la pioggerella sbilenca del titolo, quei fili d’acqua finissimi e acidi ma purificatori. È il pop stortodi Cut Your Hair con quei coretti e quelle chitarre dolciastre che fanno saltare tutti come scemi, oppure Unfair che abbaia ma non morde o Gold Soundz: canzone à la R.E.M. che contiene una sorta di inno sul vuoto cosmico della generazione X. “Sei il tipo di ragazza che mi piace” – canta delirante Malkmus – “perché sei vuota e sono vuoto anch’io”.
E poi c’è Range Life, la ballata anchilosata in cui Malkmus si beffa di Smashing Pumpkins e Stone Temple Pilots. Tutti pezzi di un poster che ruba l’occhio a primissima vista. Come il congedo di Fillmore Jive in cui i Pavement danno la buona notte al rock’n’roll con una canzone che ne è sorta di compendio postmoderno. Insomma: come prendere gli Eagles (Malkmus disse di ispirarsi a loro al momento di scrivere “Crooked”) e chiuderli a doppia mandata in un garage. E sembra di smarrirsi in questo dipinto variegato, ma alla fine ci si orienta eccome, basta una mappa credibile della fine del secolo.