Quando nel 1999 pubblicano il loro omonimo album d’esordio, gli Slipknot conquistano immediatamente le attenzioni di mezzo mondo, attenzioni equamente divise tra chi ne riconosce potenzialità e capacità tecniche e chi, invece, ne detesta l’immagine volutamente disturbante (le maschere da mostri/serial killer, le tute da carcerati, etc.). Il pastone di thrash metal, death metal, rap e alternative rock che la numerosissima formazione americana propone risulta oltretutto indigesto a gran parte dell’ambiente di riferimento, sia quello più estremo e metal oriented che quello più mainstream, tanto che non a caso anche gli Slipknot vengono da subito derubricati alla voce nu metal insieme a band quali Korn e System Of A Down, sebbene partissero da presupposti diversi e snocciolassero la propria musica verso obiettivi diversi.
Corey Taylor e gli altri avevano dunque l’assoluta necessità di uscire da una impasse che rischiava di fagocitarli o, nella migliore delle ipotesi, lasciarli lì nella cesta dei fenomeni da baraccone. Così la scelta ricade sulla realizzazione di un disco che propendesse maggiormente verso l’estremo, verso il thrash e il death a scapito degli elementi che più caratterizzavano il cosiddetto nu metal. Iowa esce a fine Agosto 2001 ma di estivo non ha letteralmente nulla: un gorgo infernale di rabbia e violenza provenienti direttamente dalle vite dei nove, dalla quotidianità di quella Des Moines capitale dello stato che simbolicamente dà il titolo al disco, uno delle centinaia di centri abitati del centro degli Stati Uniti dove precarietà, dipendenze e alienazione mortale dettavano e dettano ancora l’agenda dei propri cittadini.
Già dall’iniziale People = Shit (prima vera traccia dopo l’intro) è chiaro il messaggio degli Slipknot, un feroce e misantropico attacco alla società sorretto da una ritmica devastante e un refrain ossessivo. C’è tanto death metal sullo sfondo, riscontrabile in People = Shit ma anche in tracce come Disasterpiece e The Heretic Anthem, con quest’ultima che giocando con banali ammiccamenti al satanismo (cui va aggiunto anche il caprone che campeggia sulla copertina del disco) si scaglia invece in maniera profonda contro l’Occidente asservito al denaro e sferzato dai soprusi. E poi c’è il singolone Left Behind, che appesantisce ulteriormente i fasti della “Wait And Bleed” di due anni prima e segna indelebilmente il disco. Che gli Slipknot di “Iowa” abbiano riferimenti decisamente estremi lo si capisce anche ascoltando My Plague, che pesca nei Fear Factory di “Demanufacture” (1995), per non parlare dei continui e ricorrenti omaggi al thrash dei maestri Slayer che infarciscono praticamente ogni traccia del disco, colmando anche tutti quegli spazi che nell’album omonimo erano lasciati alle scorribande rap.
Prodotto carnascialesco o meno che li si potesse considerare (e magari continuare a farlo ancora oggi), bollati da più parti come banali, noiosi e fintamente brutali, gli Slipknot con “Iowa” marchiarono a fuoco l’avvio del nuovo millennio, con i loro ottimi accostamenti di melodia e ferocia, urla e rallentamenti, contribuendo enormemente alla breve ma devastante parabola di quel nu metal che, a distanza di oltre vent’anni, ha ormai assunto i connotati di musica da boomer, troppo temporalmente circoscritta per poter uscire dalla propria comfort zone.