Nell’autunno 2020, quando in una strana e quasi totale assenza di rumors fu rivelata la tracklist di “Letter To You”, uscito di lì a breve, la presenza di “Janey Needs A Shooter” contribuì a creare hype tra il popolo springsteeniano. La traccia in questione non era un inedito e questa non è una novità, l’archivio degli scarti dell’artista è così ampio da consentirgli di far uscire un album all’anno, da qui a un bel po’ di tempo a venire. La particolarità di “Janey Needs A Shooter” è la sua provenienza. Se esiste un album da cui Bruce Springsteen ha accumulato più outtake questo è “The River”.
Registrato quasi del tutto in presa diretta nei Power Station di New York, all’interno di una sala grande quanto una palestra, The River ricalca le inquietudini emotive di Bruce Springsteen, forse più di ogni altro album dell’artista. La E Street Band ha ormai assunto un assetto societario e Springsteen non permette a nessuno di sgarrare, né durante i live né tantomeno durante le sessioni. Alcuni dei musicisti vengono minacciati di licenziamento se trovati nuovamente a sniffare durante il tour che precede e segue l’uscita dell’album, mentre Max Weinberg è praticamente costretto a prendere lezioni private di batteria per evitare di essere sostituito da Russ Kunkel, già percussionista di Jackson Browne e James Taylor.
La prolissità mista all’infinita indecisione di Bruce Springsteen sul suono, gli assoli, le tracce da inserire o da scartare, le take da ripetere, vengono smorzate dall’intervento di Van Zandt che, un po’ per indole e un po’ per stanchezza, interviene esattamente nel momento in cui Springsteen entra nel loop delle sue paturnie esecutive. Così, quando pensò bene di regalare Hungry Heart ai Ramones, fu Van Zandt a chiamare Voman e Kaylan dei Turtles per armonizzare la traccia al punto tale da far cambiare corso al disturbo ossessivo donativo di Bruce Springsteen. Il risultato fu un singolo arrivato a Dicembre al quinto posto di Billboard e un doppio album contenente un’esplosione di rock raggiante, chiassoso e apparentemente spensierato: The Ties That Bind, Jackson Cage, Out In The Street, I’m A Rocker, Ramrod sono tra i pezzi più potenti e meglio riusciti durante gli interminabili live dell’artista. Non mancano naturalmente tracce dal sentimento disfattista, nei testi e nelle intenzioni: The Price You Pay, Point Black (scarto da “Darkness On The Edge Of Town”) o Stolen Car.
Ma se dal punto di vista tecnico la band è ormai collaudata e le questioni stilistiche vengono gestite dalla strana coppia Jon Landau/Steve Van Zandt (entrambi co-produttori insieme a Bruce) la tempesta perfetta sta tutta nelle relazioni: l’incapacità di Springsteen di essere appagato da una potenziale vita di coppia si scontra con la naturale crescita dei suoi compagni di viaggio, sposati e pronti anche a rivestire uno status genitoriale. Dall’alto dei suoi trent’anni Springsteen ha già deciso cosa non diventerà: schizofrenico come suo padre (cui dedica Indipendence Day) e imbrigliato in un matrimonio precoce, come quello di sua sorella Virginia. Ed è proprio su “Ginny” che Springsteen riflette quando scrive la title track. Il dubbio che il testo di The River sia un sequel della “Mary” di “Thunder Road” viene fugato ancor prima che il disco stesso uscisse, quando a Settembre del 1979, durante il No Nukes al Madison Square Garden, Springsteen dedicò apertamente il laconico testo alla sorella e al cognato: “Un sogno che non si avvera è una bugia o qualcosa di peggio?”. Inutile dire che Ginny non la prese benissimo, ma passarono molti anni prima Springsteen cambiasse idea, non sul rapporto tra lei e Mickey ma sull’idea stessa di unione e condivisione della vita con un’unica persona.
Il disco uscì il 17 Ottobre del 1980 ma gli scarti furono una quantità tale da riempirci quasi tutti e quattro i cofanetti di “Tracks” (1998), “The Ties That Bind”, il box celebrativo del trentennale dell’album pubblicato nel 2015 e un nuovo progetto in uscita a brevissimo. Nonostante questo, esistono ancora molte outtake di “The River” di cui non si ha traccia se non la circolazione tramite bootleg. Ma “The River” non conta solo pezzi splendidi messi in un angolo. Fu il disco scelto per accogliere a sua volta altri scarti da altrettanti album: Independence Day, Point Blank, The Ties That Bind, Ramrod e Sherry Darling erano “avanzi” di “Darkness On The Edge Of Town”, già eseguiti nel tour del 1978; Drive All Night era nata come un naturale prolungamento di “Backstreets” ma fu poi scartata da “Born To Run” in fase finale. E proprio di Drive All Night si contano decine di riarrangiamenti e interpretazioni, due tra tutte la splendida versione acustica di Glen Hansard ed Eddie Vedder e un’interpretazione eterea, opera di Sharon Van Etten.
Quasi tutti i dischi di Bruce Springsteen hanno un legame inscindibile con il suo vissuto più intimo e privato ma, forse, “The River” è l’album che più di tutti mette a nudo la fragilità di un uomo che lotta contro le sue psicosi e i suoi fantasmi continuando a picchiarli a colpi di Fender Stratocaster, senza mai cedere al potere della negazione.